Yuka https://yuka.io L'application qui vous aide à mieux manger Thu, 04 Apr 2024 12:30:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 https://yuka.io/wp-content/uploads/2016/05/favicon-150x150.png Yuka https://yuka.io 32 32 Allergie cutanee: allergici non si nasce, si diventa! https://yuka.io/it/allergie-pelle-cosmetici/ https://yuka.io/it/allergie-pelle-cosmetici/#respond Thu, 04 Apr 2024 12:30:01 +0000 https://yuka.io/?p=97069 Pensavi di prenderti cura della pelle nel modo giusto, scegliendo prodotti privi di fragranze e di evitare una reazione indesiderata? E invece, un giorno la pelle ha cominciato improvvisamente a prudere. Sappi che non sei un caso isolato: si ritiene che il 10-20% della popolazione mondiale sia allergica a un ingrediente cosmetico1,2,3. L’OMS stima addirittura […]

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Pensavi di prenderti cura della pelle nel modo giusto, scegliendo prodotti privi di fragranze e di evitare una reazione indesiderata? E invece, un giorno la pelle ha cominciato improvvisamente a prudere. Sappi che non sei un caso isolato: si ritiene che il 10-20% della popolazione mondiale sia allergica a un ingrediente cosmetico1,2,3. L’OMS stima addirittura che questo numero potrebbe aumentare4, soprattutto nei Paesi industrializzati, dove oggi si registra quasi il triplo di reazioni cutanee rispetto al ’965,6.

In questo articolo ci concentreremo sugli ingredienti dei cosmetici che possono causare allergie cutanee. Quali sono le cause di queste reazioni allergiche? Quali sono gli ingredienti da evitare e i suggerimenti per scegliere i cosmetici giusti?

L’allergologa Séverine Fernandez ha condiviso con noi la sua esperienza in materia.

Allergie: perché il nostro corpo si ribella?

L’allergia è una reazione avversa del sistema immunitario a una sostanza ambientale normalmente innocua (l’allergene). L’organismo la vede come una minaccia, alla stregua di un batterio o di un virus, e decide di combatterla in modo eccessivo.

Gli allergeni possono essere di vario tipo: alimenti, ingredienti cosmetici, pollini, acari, ecc. Ma è importante ricordare che tra una crema per il viso che causa brufoli e un’allergia alimentare alle arachidi, il meccanismo di difesa messo in atto dal nostro organismo è completamente diverso!7

Meccanismo operativo: la quiete prima della tempesta

Ciò che accomuna tutte le allergie è che agiscono con un meccanismo operativo suddiviso in due fasi.

  • Innanzitutto, c’è un periodo in cui siamo ripetutamente esposti a un allergene. Non succede nulla, quindi pensiamo che vada tutto bene. Ma nel frattempo il nostro sistema immunitario sta già considerando questo elemento come un nemico. Si tratta della fase della sensibilizzazione.
  • Poi, dopo un periodo di tempo che varia da persona a persona, il corpo non tollera più il contatto con il nemico che ha tollerato fino a quel momento. Da questo momento in poi l’organismo reagirà a ogni nuova esposizione. Si tratta della fase della rivelazione8.

Le allergie cutanee coinvolgono cellule immunitarie alquanto particolari: i globuli bianchi difensori9. Quando l’allergene penetra nel corpo attraverso l’uso di un cosmetico, questi globuli bianchi difensori vengono chiamati come se fossero dei rinforzi. Si attivano, si moltiplicano e rilasciano composti chimici che danneggiano la cute. Il loro obiettivo è distruggere a tutti i costi l’allergene, che considerano un nemico. Purtroppo questa reazione provoca anche eruzioni e infiammazioni cutanee.

Una delle particolarità delle allergie cutanee è che spesso si sviluppano allergie a numerosi ingredienti. Questo avviene perché diversi estratti vegetali possono contenere lo stesso allergene. Per esempio è comune essere allergici sia all’olio essenziale di geranio che a quello di rosa perché entrambi contengono geraniolo10, un composto presente nell’elenco europeo delle fragranze allergizzanti11.

Sintomi per niente divertenti

Dopo la fase di sensibilizzazione silenziosa (che può durare diversi mesi, anni o addirittura decenni) ogni contatto provoca una reazione cutanea entro 24-72 ore. Ciò può causare vari sintomi: forte prurito, arrossamento, gonfiore, pelle secca, comparsa di piccole vesciche, ecc.7. Ahi!

Piccola nota amara: i sintomi di un’allergia cutanea possono peggiorare nel tempo, manifestandosi sempre più rapidamente. Dopo diverse esposizioni, alcuni dei globuli bianchi difensori rimangono nella pelle, nell’area in cui avviene solitamente il contatto con il cosmetico allergizzante (in particolare su mani, viso e ascelle). Sono pronti a intervenire8. Questo spiega perché nel tempo i sintomi possono intensificarsi e comparire in meno di 24 ore.

Non bisogna confondere tali sintomi allergici con l’irritazione: altra incantevole reazione cutanea che corrisponde a una lesione temporanea alla pelle o agli occhi causata da una sostanza con proprietà corrosive. La reazione può avvenire rapidamente e varia a seconda delle concentrazioni utilizzate nei cosmetici e della propria resistenza cutanea. Ciò provoca più una sensazione di trazione e di bruciore che di prurito7. Ricordiamo invece che le allergie sono causate da una reazione sbagliata dell’organismo a una sostanza innocua, anche se presente in quantità minime!

È facile capire perché sia importante accertarsi che i cosmetici non contengano allergeni. Anche quando non succede nulla. L’idea è fare in modo che il nostro corpo entri in contatto con queste sostanze il meno possibile per evitare che possa un giorno considerarle una minaccia. Perché una volta che è avvenuta la sensibilizzazione, non si può più tornare indietro!

Alcune persone sono più sensibili di altre?

Chiunque può sviluppare improvvisamente un’allergia a una sostanza, e a qualsiasi età. Tuttavia, esistono alcuni fenomeni e predisposizioni che facilitano l’innesco di questa reazione.

Innanzitutto, bisogna sapere che la pelle danneggiata è una vera e propria porta d’accesso per gli aggressori. Per gli allergeni è più facile insinuarsi nella pelle e fare festa con le cellule del sistema immunitario. Ecco perché le persone che soffrono, o hanno sofferto nell’infanzia, di una malattia della pelle hanno maggiori probabilità di sviluppare un’allergia nel corso della loro vita. Precisiamo che la dermatite atopica (che è un’infiammazione cutanea che colpisce il 10% dei bambini in tutto il mondo) favorisce particolarmente questa sensibilizzazione agli allergeni12.

Altro dettaglio importante: ogni persona ha una diversa conformazione cutanea. In superficie gli enzimi sono in grado di scomporre le molecole esterne più semplici per evitare che penetrino nella barriera cutanea. Il che è davvero utile! Il problema è che il numero e l’equilibrio di questi enzimi sembrerebbero non essere gli stessi per tutti3,13. Questa variabilità sembra essere uno degli indizi chiave per capire la ragione per cui alcuni di noi hanno maggiori probabilità di sviluppare allergie14.

Un altro indizio risiede nella capacità dei nostri globuli bianchi di controllare l’infiammazione cutanea. Il compito di questi globuli bianchi di controllo non è quello di combattere i nemici, ma piuttosto di calmare le acque: il loro scopo è quello di garantire che l’organismo non si agiti troppo e che la lesione cutanea non sia troppo estesa. Se tali globuli bianchi vengono a mancare, è possibile che si verifichi una più facile sensibilizzazione e un peggioramento dei sintomi. Stress, carenze nutrizionali, virus, alcune malattie o l’età possono però contribuire a ridurre il loro numero15.

Dove si nascondono questi allergeni nei cosmetici che usiamo?

Fragranze

Insieme ai conservanti, si ritiene che siano le principali responsabili delle allergie cutanee16. Le fragranze sono infatti costituite da un mix di decine o addirittura centinaia di molecole diverse17. Possono essere sintetiche o di origine naturale e vengono utilizzate in ogni tipo di cosmetico: creme idratanti, saponi, deodoranti, maschere, ecc. Sull’etichetta molte di queste sostanze vengono misteriosamente denominate “fragranza” 18,19. Non è facile identificare un’allergia con una di queste sostanze, nonostante siano così allergizzanti. E secondo il Comitato Scientifico per la Sicurezza dei Consumatori (CSSC) è il lyral a essere il campione delle allergie cosmetiche, tanto che dal 2019 l’Unione Europea ne ha vietato l’uso nei cosmetici20. Negli Stati Uniti non è obbligatorio indicarlo nell’etichetta, e non vi sono limiti al suo utilizzo nei cosmetici19. Anche il linalolo, il geraniolo, il limonene, l’estratto naturale di lichene o il citrale possono essere dei veri guastafeste.

Oli essenziali

Vengono usati come fragranze o per altre proprietà, ma molti di essi ha un forte potere allergizzante, in particolare l’olio essenziale di citronella, l’assoluta di gelsomino e l’olio di sandalo14.

Conservanti

Da un lato, è positivo che limitino la diffusione di microrganismi che potrebbero essere pericolosi per la nostra salute. Ma alcuni di loro sono potenti allergeni. Parliamo per esempio del MIT (Metilisotiazolinone) e del CMIT (Metilcloroisotiazolinone). Eppure vengono usati in quasi il 20% dei gel doccia e degli shampoo21! E che dire del Quaternium-15? Il 7-10% degli americani è allergico a questa sostanza22,23. Dal 2019 l’Unione Europea ne ha infatti vietato l’uso24. Non dimentichiamoci poi del 2-Bromo-2-nitropropane-1,3-diol, che secondo alcuni studi americani causerebbe allergie a circa il 3% della popolazione22,23.

Filtri UV

Questi composti servono ad assorbire i raggi UV del sole, che sono dannosi per la pelle. Sono molto importanti per prevenire l’invecchiamento cellulare e lo sviluppo di tumori. Ma c’è un problema! Dopo essere stati esposti al sole, alcuni di essi possono risultare allergizzanti. Questo fenomeno è noto come fotosensibilità. Ciò riguarda l’avobenzone, l’omosalato e i composti della famiglia dei benzofenoni, che vengono tuttavia ampiamente utilizzati nei prodotti solari25. E non è tutto! Pare che la combinazione con la vitamina A (alias retinolo) contenuta in alcune creme giorno accentui questo fenomeno26.

Quando i buoni diventano cattivi

Alcuni composti non sono di per sé allergizzanti, ma si scompongono in molecole che lo sono. È il caso dei cosiddetti conservanti “a rilascio di formaldeide” come il benzylhemiformal, il diazolidinil urea, il DM hydantoin, il imidazolidinyl urea o la metenamina23,27. La loro scomposizione in molecole allergizzanti dipende in particolare dalla formulazione dei cosmetici, dalla loro acidità, dall’esposizione dei prodotti al sole e dalla temperatura28. Ciò riguarda anche le fragranze. Secondo uno studio l’ossidazione del limonene, in particolare attraverso i raggi solari, può causare un’allergia nel 3% dei soggetti esaminati14. Questo composto è presente praticamente in tutti gli estratti vegetali: oli essenziali, profumi, acque floreali, ecc.29 Peccato.

Quando i buoni diventano cattivi

Alcuni composti non sono di per sé allergizzanti, ma si scompongono in molecole che lo sono. È il caso dei cosiddetti conservanti “a rilascio di formaldeide” come il benzylhemiformal, il diazolidinil urea, il DM hydantoin, il imidazolidinyl urea o la metenamina23,27.

La loro scomposizione in molecole allergizzanti dipende in particolare dalla formulazione dei cosmetici, dalla loro acidità, dall’esposizione dei prodotti al sole e dalla temperatura28. Ciò riguarda anche le fragranze. Secondo uno studio l’ossidazione del limonene, in particolare attraverso i raggi solari, può causare un’allergia nel 3% dei soggetti esaminati14. Questo composto è presente praticamente in tutti gli estratti vegetali: oli essenziali, profumi, acque floreali, ecc.29. Peccato.

Concretamente cosa bisogna fare?

  • Evitare il più possibile, in via preventiva, l’esposizione agli allergeni da contatto. Ciò limita notevolmente la sensibilizzazione del sistema immunitario a queste sostanze.
  • Evitare i profumi, anche se sono “naturali” o “a base di oli essenziali”. La naturalità non garantisce in alcun modo l’assenza di irritazioni cutanee o reazioni allergiche.
  • Bisogna stare particolarmente attenti/e in caso di eczema atopico o irritazione cronica, anche se risalente all’infanzia. Queste patologie rendono particolarmente facile lo sviluppo di una sensibilizzazione agli allergeni da contatto. In ogni caso è possibile che l’allergia si scateni anche in età adulta.
  • Evitare di detergere eccessivamente la pelle. L’uso eccessivo di saponi e di prodotti esfolianti come gli scrub altera la naturale protezione della pelle. Ciò può facilitare la penetrazione dei composti allergenici e quindi una loro sensibilizzazione.
  • Prendersi cura della propria pelle con creme emollienti e idratanti adeguate. In tal modo si contribuisce a mantenere la funzione protettiva della pelle contro le aggressioni esterne30.
  • Non acquistare alla cieca prodotti certificati “bio” o con diciture come “formulazione ipoallergenica”, “dermatologicamente testato”, “per pelli sensibili”, “senza fragranze”. Queste diciture non garantiscono l’assenza di allergeni nella loro composizione19.
  • Consultare un/a allergologo/a in caso di allergia da contatto per un check-up che ne accerti la causa, prevenendo future reazioni cutanee.

Autrici: Zoé Kerlo, tossicologa e Séverine Fernandez, medico allergologo.

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Un’alimentazione bio è davvero più sana? https://yuka.io/it/alimentazione-biologica-salute/ https://yuka.io/it/alimentazione-biologica-salute/#comments Mon, 04 Mar 2024 13:54:32 +0000 https://yuka.io/?p=38606 Una sempre maggiore attenzione alla propria salute e alla tutela dell’ambiente da parte dei consumatori ha portato a un’ampia diffusione di prodotti biologici negli ultimi 20 anni. Di conseguenza, le coltivazioni biologiche in Italia sono raddoppiate rispetto a due decenni fa. Pensiamo per esempio che nel 2020 la Sicilia rappresentava da sola il 18% dei […]

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Una sempre maggiore attenzione alla propria salute e alla tutela dell’ambiente da parte dei consumatori ha portato a un’ampia diffusione di prodotti biologici negli ultimi 20 anni. Di conseguenza, le coltivazioni biologiche in Italia sono raddoppiate rispetto a due decenni fa. Pensiamo per esempio che nel 2020 la Sicilia rappresentava da sola il 18% dei terreni agricoli dedicati al biologico in Italia1.

Ma un’alimentazione biologica presenta dei reali benefici per la salute? Il biologico garantisce prodotti privi di pesticidi?

Ecco il nostro approfondimento sul tema, redatto in collaborazione con il nutrizionista Anthony Berthou.

Cos’è l’agricoltura biologica?

L’agricoltura biologica è esente da trattamenti chimici di sintesi

L’agricoltura biologica vieta l’utilizzo di prodotti chimici come i pesticidi e i fertilizzanti sintetici. Si tratta infatti di sostanze artificiali create in laboratorio e prodotte a livello industriale, in particolare negli stabilimenti petrolchimici.

In agricoltura biologica, si fa esclusivamente ricorso a fattori di produzione provenienti da “sostanze naturali o sostanze derivanti da sostanze naturali”2. L’agricoltura biologica autorizza quindi soltanto 363 sostanze, contro le 2668 dell’agricoltura convenzionale3.

Inoltre, in agricoltura biologica sono vietate le sostanze di origine sintetica considerate problematiche per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Un esempio è il fungicida SDHI, usato spesso per le colture di frutta e cereali, che inibisce la proliferazione di funghi bloccando la respirazione delle cellule. Secondo vari studi, sarebbe in grado di ostacolare la respirazione cellulare di qualunque essere vivente (piante, animali, esseri umani), causando anomalie epigenetiche che potrebbero favorire l’insorgenza di tumori4,5. Per questo motivo, nel gennaio 2020, 450 ricercatori hanno richiesto di sospendere l’utilizzo dell’SDHI all’aperto6.

Questo fungicida è tra l’altro contestato per il suo impatto sulla biodiversità: alcuni studi ne dimostrano la tossicità su roditori, pesci, anfibi e, non ultime, le api. Una volta irrorati sulle coltivazioni, possono persistere vari mesi nel suolo ed entrare in contatto con vermi e insetti7.

Alcune sostanze naturali sono tuttavia controverse

Alcune sostanze naturali o di origine naturale utilizzate in agricoltura biologica possono rivelarsi comunque problematiche per la salute e/o l’ambiente. L’Europa ha quindi stilato una lista di 77 sostanze autorizzate nel biologico e “candidate alla sostituzione”8. Ciò significa che questi composti sono particolarmente preoccupanti per la salute dell’uomo o per l’ambiente, ma restano autorizzati in attesa di trovare alternative considerate valide dalle autorità.

Un esempio emblematico sono i pesticidi a base di rame, dannosi per la salute e per l’ambiente. Pensiamo in particolare alla poltiglia bordolese, un mix di solfato di rame e idrossido di calcio. Per quanto riguarda la tutela dell’ambiente, l’INRAE (Istituto Nazionale francese per la Ricerca Agricola) indica che “alte concentrazioni di rame hanno effetti fitotossici riconosciuti sulla salute e lo sviluppo della maggior parte delle piante”9. Ma questo minerale ha anche un impatto sulla salute umana, in quanto presenta un elevato effetto pro-ossidante in grado di danneggiare le componenti delle nostre cellule10 (vedi l’articolo sugli antiossidanti).

L’agricoltura biologica consente quindi di ridurre drasticamente l’esposizione dell’uomo e dell’ambiente ai prodotti chimici di sintesi. Oggi, una delle principali sfide dell’agricoltura biologica consiste infatti nel cercare soluzioni alternative ai pesticidi naturali più problematici.

L’agricoltura biologica limita anche l’uso di additivi

L’agricoltura biologica restringe l’utilizzo di additivi. Nel biologico infatti, solo 55 additivi sono autorizzati rispetto ai 300 dell’agricoltura convenzionall11. Numerosi additivi molto controversi come la tartrazina (E102), il BHA (E320), i difosfati (E450) e l’aspartame (E951) sono vietati nei prodotti biologici.

Cosa prevede il logo biologico dell’Unione Europea

Introdotto nel 2010, l’Eurofoglia è l’unico label ufficiale promosso dall’Unione Europea. Si basa su un principio fondamentale: l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi è vietato nelle coltivazioni biologiche. Si basa sui presupposti seguenti:

Eurofoglia (Bio europeo)

  • Gli OGM sono vietati, però è prevista una soglia di tolleranza in caso di presenza fortuita (fino allo 0,9%).
  • L’alimentazione del bestiame è certificata bio per il 95%.
  • I prodotti trasformati devono contenere almeno il 95% di ingredienti provenienti da agricoltura biologica.
  • Negli allevamenti, i trattamenti ormonali sono vietati e il ricorso ad antibiotici limitato
  • Possono coesistere produzioni biologiche e non, a patto che si mantenga una distanza di 10 metri tra le due differenti coltivazioni.
  • Si autorizza l’uso di serre riscaldate.

Un altro logo molto conosciuto nel campo dell’agricoltura biologica è il logo Demeter, che presenta specifiche ancora più esigenti.

Demeter

  • Si applica tolleranza zero per gli OGM
  • L’alimentazione del bestiame è certificata bio al 100%.
  • I prodotti trasformati contengono il 100% di ingredienti bio.  
  • Alcuni additivi autorizzati nel biologici sono vietati nei prodotti Demeter, come il nitrito di sodio per i prodotti a base di carne o gli aromi “naturali”. 
  • Il rispetto del benessere animale è la priorità.
  • Le coltivazioni biologiche devono esserlo al 100% (produzioni bio e non bio non possono coesistere).
  • L’uso di serre riscaldate è limitato

I vari label si basano su criteri riguardanti i mezzi, e non i risultati. Non sono quindi in grado di garantire la totale assenza di pesticidi o agenti chimici nei prodotto. Garantiscono però che i produttori ne limitino l’uso secondo le condizioni stabilite.

E cosa dire della dicitura “residuo zero”?

Negli ultimi anni, è stata introdotta una dicitura che si posiziona tra agricoltura biologica e convenzionale.

A differenza dei label bio, il label «residuo zero» si basa sul risultato finale, ovvero l’assenza di pesticidi nel prodotto finito, e non sull’uso o meno di prodotti chimici durante l’intero ciclo produttivo. L’uso di pesticidi è autorizzato, ma si evitano i «trattamenti tardivi» o si privilegiano molecole a dissolvimento rapido.

In conclusione, questa dicitura può rappresentare una buona alternativa al bio, considerato ancora piuttosto caro. Per la tutela dell’ambiente invece, non presenta un interesse particolare in quanto autorizza comunque l’uso di pesticidi di sintesi.

Un’alimentazione bio riduce l’esposizione ai pesticidi

I prodotti di origine biologica in genere non sono mai completamente privi di pesticidi, ma vari studi concordano sul fatto che ne contengono una quantità nettamente inferiore. Secondo una vasta meta-analisi pubblicata nel 2014 dal British Journal Of Nutrition12, i prodotti biologici conterrebbero in media il 75% di pesticidi in meno rispetto agli alimenti provenienti da un’agricoltura convenzionale.

I pesticidi sono sostanze considerate responsabili di numerose patologie. Infatti, la maggior parte degli studi scientifici mostra un aumento del rischio di cancro nei soggetti più esposti a pesticidi13-18. I tumori più frequenti sono i linfomi non Hodgkin, le leucemie, i tumori cerebrali e ormono-dipendenti, i tumori al polmone e i melanomi. 

Numerosi studi evidenziano inoltre una correlazione tra l’esposizione ad alcuni pesticidi e il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson. Il rischio aumenterebbe infatti del 62% se l’esposizione risulta molto elevata19. I pesticidi sono coinvolti nell’aumento dell’insorgenza del morbo di Alzheimer20,21 e della malattia di Charcot22-24, ma anche dei disturbi cognitivi e ansiosi depressivi25,26.

L’esposizione ai pesticidi durante la gravidanza potrebbe inoltre avere conseguenze importanti sullo sviluppo del feto, aumentando il rischio di nascita prematura, autismo, malformazioni cardiache e complicazioni metaboliche in età adulta27-29. Infine, una maggiore esposizione ad alcuni pesticidi sembrerebbe favorire i disturbi della fertilità, sia maschile che femminile30.

Un’alimentazione bio riduce la contaminazione da metalli pesanti

Diversi studi scientifici mostrano che i prodotti biologici sono meno contaminati non solo da pesticidi, ma anche da alcuni metalli pesanti. Per esempio, il livello di contaminazione da cadmio è di quasi due volte inferiore nel bio che nei prodotti derivanti dall’agricoltura convenzionale12. La contaminazione da cadmio è principalmente legata all’utilizzo di fertilizzanti fosfatici, vietati nelle coltivazioni biologiche.

Il cadmio è una sostanza considerata cangerogena per l’uomo (gruppo 1) dallo IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. È responsabile di tumori che colpiscono le vie respiratorie, in particolare i polmoni31. Si presume inoltre che sia una sostanza mutagena e tossica per la riproduzione32,33.

I benefici nutrizionali dell’alimentazione bio

Frutta e verdura biologiche sono più ricche di antiossidanti

La frutta e la verdura provenienti dall’agricoltura biologica hanno un tenore di antiossidanti più elevato (dal 20 al 70% a seconda del tipo di antiossidante) rispetto ai prodotti provenienti dall’agricoltura convenzionale12. Frutta e verdura non trattate, infatti, devono difendersi naturalmente contro le aggressioni esterne (siccità, parassiti, ecc.). Per far fronte a queste situazioni, producono un maggior numero di molecole di difesa, soprattutto polifenoli, dei composti appartenenti alla famiglia degli antiossidanti. 

Passare a un’alimentazione esclusivamente biologica significherebbe quindi aumentare dal 20 al 40% il tenore di antiossidanti contenuti nella nostra dieta, fino ad arrivare al 60% per alcune di queste sostanze.

Gli antiossidanti, molecole essenziali per la nostra salute, proteggono le cellule del nostro organismo e hanno un ruolo chiave nella prevenzione dei tumori, delle malattie degenerative (sclerosi multipla, morbo di Alzheimer, ecc.) e dei disturbi cardiovascolari (vedi il nostro articolo sugli antiossidanti).

I vegetali biologici contengono più vitamine e minerali

Alcuni studi dimostrano inoltre che il contenuto di alcune vitamine e minerali è più elevato nei vegetali biologici. Si tratterebbe dalla vitamina C (da +6 a +27%), ma anche del ferro (+21%) e del magnesio (+29,3%)34,35. Altri studi osservano invece differenze limitate o addirittura assenti36,37.

I prodotti animali biologici apportano più omega-3

Secondo vari studi, il tenore di omega-3 di carne e latte di origine biologica è maggiore e quello di omega-6 inferiore. Gli omega-3 sono acidi grassi dagli straordinari benefici il cui apporto è insufficiente nella nostra dieta attuale: ne consumiamo solo il 30% circa dell’apporto raccomandato. Al contrario, gli omega-6 risultano eccessivamente presenti nella nostra dieta (vedi il nostro articolo sui grassi).

L’apporto di omega-3 sarebbe, in media, del 22% superiore nella carne di origine biologica38. Negli allevamenti biologici infatti, il bestiame si nutre di erba e fieno, mentre in quelli convenzionali di mangimi a base di soia. Infine, secondo una meta-analisi basata su 170 studi, il latte biologico apporterebbe fino al 56% di omega-3 in più39.

L’alimentazione bio svolge un ruolo preventivo su numerose patologie

Un ampio studio condotto per 3 anni su 60.000 persone in Francia, noto come BioNutrinet, ha permesso di dimostrare i benefici di un’alimentazione biologica sul rischio di sovrappeso, obesità e diabete40. Secondo tale studio, un’alimentazione biologica determina un rischio di sovrappeso inferiore del 36% negli uomini e del 42% nelle donne. Anche il rischio di obesità risulta inferiore, del 62% negli uomini e del 48% nelle donne.

Il rischio di contrarre un diabete di tipo 2 sembrerebbe inoltre del 31% inferiore per chi integra alla propria dieta una gran quantità di prodotti biologici41,42. Alcuni pesticidi chimici sono infatti dei perturbatori endocrini che favoriscono l’obesità e il diabete.

Infine, secondo lo stesso studio, consumare regolarmente alimenti biologici ridurrebbe del 25% il rischio di sviluppare un tumore. Questo vale soprattutto per il cancro al seno nelle donne in menopausa (-34%) e per i linfomi (-76%). Tuttavia, dato che questo studio comporta alcuni bias, ulteriori dati saranno necessari per confermare tale impatto del consumo di prodotti biologici sullo sviluppo di tumori. 

Infine, uno studio pubblicato nel 2022 nella rivista Environment International associa l’alimentazione biologica a una riduzione significativa dello stress ossidativo, un fenomeno coinvolto in numerose patologie croniche (malattie neurogenerative, alcuni tipi di tumori, diabete)43. Secondo gli esperti, questi risultati sarebbero dovuti alla presenza di residui di pesticidi chimici nei prodotti convenzionali. 

Un’alimentazione bio: la soluzione ideale per la salute?

Un’alimentazione bio presenta senza dubbio numerosi benefici per la salute. È importante però che il consumo di prodotti biologici si inserisca nell’ambito di una dieta sana ed equilibrata.

Pensiamo per esempio ai prodotti trasformati come le patatine in sacchetto o i biscotti. Anche se li scegliamo biologici, l’apporto di sale o zucchero potrà comunque risultare eccessivo. L’aspetto biologico non sarà quindi l’unico criterio da considerare, soprattutto quando acquistiamo prodotti trasformati.

Optare per il biologico nella scelta di prodotti grezzi come la frutta, la verdura, la carne o il latte è invece sicuramente un vantaggio per la salute.

Il label biologico europeo rappresenta un buon punto di partenza per limitare l’esposizione ai pesticidi, pur comportando alcuni limiti. Una soluzione ancora più interessante è rappresentata dai prodotti da label biologici ancora più esigenti, anche se spesso più costosi.

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I 10 pilastri di un’alimentazione sana https://yuka.io/it/10-pilastri-alimentazione-sana/ https://yuka.io/it/10-pilastri-alimentazione-sana/#comments Tue, 02 Jan 2024 16:44:32 +0000 https://yuka.io/?p=91705 1. Fare una colazione salata La colazione che quasi tutti facciamo prevede latte e cereali o biscotti, oppure pane bianco, burro e marmellata, il tutto accompagnato da un bicchiere di succo d’arancia e un caffè. Dal punto di vista nutrizionale però, questo tipo di colazione è tutt’altro che consigliabile. Ricca di zuccheri, stimola la secrezione […]

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1. Fare una colazione salata

La colazione che quasi tutti facciamo prevede latte e cereali o biscotti, oppure pane bianco, burro e marmellata, il tutto accompagnato da un bicchiere di succo d’arancia e un caffè. Dal punto di vista nutrizionale però, questo tipo di colazione è tutt’altro che consigliabile. Ricca di zuccheri, stimola la secrezione di insulina, un processo che andrebbe evitato, soprattutto la mattina.

L’ideale sarebbe invece optare per una colazione salata. Consumare una fonte di proteine animali al mattino favorisce la produzione di dopamina, un neurotrasmettitore che stimola la veglia e la motivazione. Oltre a farci sentire più attenti e motivati, il consumo di proteine al mattino favorisce un senso di sazietà più prolungato e previene il cosiddetto “buco allo stomaco” nel corso della mattinata.

Le uova sono la scelta ideale, perché contengono proteine di ottima qualità e sono ricche di vitamine e oligoelementi. Esistono però altre fonti proteiche con cui alternarle:

Proteine animali: 30 g di formaggio (preferibilmente di capra o pecora), uno yogurt (di capra o pecora), sardine, una fetta di prosciutto di qualità (più raramente)…

Proteine vegetali: yogurt o dessert alla soia ricchi di proteine, semi di chia, frutta secca (mandorle, noci, nocciole, ecc.)

2. Mangiare almeno 2-3 frutti e 2-3 porzioni di verdura al giorno

L’ideale sarebbe consumare quotidianamente tra gli 800 g e 1 kg di frutta e verdura, pari a 2 o 3 porzioni di verdura (500 g) e 2 o 3 frutti (da 300 g a 450 g) al giorno. A pranzo e a cena, è bene scegliere almeno un frutto e una verdura cruda e una cotta.

Frutta e verdura fresche sono molto ricche di fibre, essenziali per la nostra salute poiché contribuiscono al senso di sazietà e quindi aiutano a regolare la gestione del peso e i livelli di zucchero nel sangue, oltre a favorire la motilità intestinale e l’equilibrio del microbiota.

Inoltre, sono molto ricche di vitamine, minerali e antiossidanti. Un apporto ottimale di antiossidanti è particolarmente importante per prevenire cancro, malattie degenerative e disturbi cardiovascolari.

Varia il più possibile i tipi di frutta e verdura consumati e i colori nel piatto per sfruttarne tutti i benefici.

Attenzione: il succo di frutta non vale come frutta! Nel succo non ci sono le fibre che regolano la velocità di assimilazione degli zuccheri, quindi il suo indice glicemico è molto più alto di quello di un semplice frutto.

3. Consumare grassi buoni

La caccia ai grassi non ha alcuna base scientifica o biologica. In realtà, i “grassi buoni” sono responsabili del corretto sviluppo della vista, delle membrane cerebrali e delle reti neurali. Oltre a fare bene al cervello, contribuiscono a ridurre i rischi cardiovascolari e sono quindi un alleato fondamentale per la nostra salute.

Non tutti i grassi, quindi, sono uguali! Il problema non è che ne mangiamo troppi, ma che ne mangiamo troppi del tipo sbagliato.

Da un lato, per esempio, è bene limitare l’assunzione di grassi saturi e di Omega-6, che oggi si tende a consumare in eccesso. Questi grassi si trovano nei prodotti animali (carne, burro, formaggio, ecc.), in alcuni oli vegetali (girasole, cocco, palma, semi di vinacciolo) e soprattutto in molti prodotti trasformati (biscotti, patatine, ecc.).

Dall’altro, invece, bisognerebbe fare in modo di assumere molti Omega-3. Questi grassi salutari si trovano nel pesce azzurro (tonno, salmone, sgombro, sardine, ecc.), in alcuni oli (colza, lino, noce), nei semi (chia, lino, canapa) e in alcune verdure (crescione, valeriana, cavolo). Attenzione: si consiglia però di limitare il consumo di tonno o salmone a non più di una volta alla settimana, poiché in genere contengono livelli elevati di varie sostanze inquinanti, in particolare metalli pesanti (mercurio, PCB, diossine, ecc.).

Privilegiare prodotti ricchi di Omega-9. Gli Omega-9 sono molto abbondanti in olio d’oliva, olio di nocciole, avocado, nocciole e mandorle. Dato l’impatto ambientale dell’avocado, è consigliabile consumarlo solo occasionalmente e solo se coltivato in Europa.

4. Dedicare tempo alla masticazione

La masticazione, nella sua banalità, viene spesso trascurata. Eppure gioca un ruolo essenziale per la nostra salute, perché aiuta a:

Migliorare l’assimilazione delle sostanze nutritive: una buona masticazione consente di trasformare meglio gli alimenti in sostanze nutritive assimilabili, in grado di arrivare alle cellule.

Mangiare meno e gestire meglio il peso: masticare stimola la secrezione di diversi ormoni che inviano un segnale di sazietà al cervello durante il pasto.

Favorire la digestione: se non si mastica abbastanza, lo stomaco deve produrre più succhi gastrici per scomporre i pezzi ancora troppo grossi. La sovrapproduzione di acido, però, può irritare la mucosa gastrica e causare un fastidioso reflusso.

Proteggere denti e gengive: masticare aiuta a prevenire la carie favorendo la produzione di saliva, che elimina la placca e protegge lo smalto dall'acidità. In più stimola le gengive, essenziali per una dentatura sana.

5. Fare il pieno di antiossidanti

Gli antiossidanti sono molecole molto salutari e indispensabili per proteggere le nostre cellule, poiché ci aiutano a prevenire molte malattie: invecchiamento precoce della pelle, cancro, malattie degenerative, cataratta, artrite e disturbi cardiovascolari.

Per fortuna, queste molecole miracolose si trovano ovunque nella nostra alimentazione! In genere, consumare frutta e verdura in buona quantità è sufficiente per soddisfare il nostro fabbisogno. Ecco gli alimenti con un forte potere antiossidante:

Bacche e frutti di bosco: mirtilli, more, bacche di goji, bacche di acai, lamponi, fragole.

Altri frutti: mele, prugne, melagrana, arance, kiwi, uva, fichi.

Verdure: carciofi, cavoli, broccoli, spinaci, peperoni.

Aromi: cipolla, aglio, scalogno.

Spezie: chiodi di garofano, origano, zenzero, curcuma, cannella.

Erbe: timo, basilico, origano, prezzemolo, erba cipollina, aneto, menta, rosmarino, alloro.

Bevande calde: tè e caffè.

Cacao e cioccolato: cacao puro in polvere, cioccolato fondente con almeno il 70% di cacao.

Tutti questi alimenti andrebbero scelti in versione bio: gli alimenti da agricoltura biologica, infatti, hanno tra il 20% e il 70% in più di polifenoli (una categoria di antiossidanti presenti in molte piante) rispetto agli alimenti coltivati in modo convenzionale.

6. Mangiare in modo consapevole

La vita frenetica odierna spesso ci spinge a fare colazione in fretta e furia o a pranzare davanti al computer per sfruttare al meglio il nostro tempo. Di conseguenza, perdiamo contatto con il nostro rapporto con il cibo.

Sarebbe importante dedicare almeno 20 minuti a ogni pasto. La mindfulness consiste nel considerarlo un momento a sé stante e nel prestare attenzione a ciò che mangiamo.

Applicare la mindfulness all’alimentazione può avere diversi effetti benefici, perché ci aiuta ad ascoltare i segnali di fame e sazietà e a fare in modo che ciò che mangiamo risponda alle nostre esigenze. In questo modo, si riducono le quantità ingerite e si ha meno voglia di spizzicare.

Inoltre, si tenderà a preferire alimenti più sani: quando mangiamo impulsivamente, sotto l’influenza delle emozioni e senza ascoltare il nostro corpo, non percepiamo più il piacere di mangiare e ci lasciamo attrarre da cibi grassi, zuccherati o salati.

Infine, la mindfulness contribuisce anche al benessere mentale, perché ci permette di prendere atto dei nostri sentimenti senza giudicarli e di ascoltarci. Pensare solo al presente durante il pasto aiuta anche a riposare la mente e a ridurre stress e ansia.

7. Limitare l’assunzione di sale

Il sale è essenziale per il corretto funzionamento dell’organismo, ma consumarne troppo può favorire lo sviluppo di alcune malattie. Basti pensare che oggi assumiamo più del doppio del sale di cui abbiamo davvero bisogno!

Consumare troppo sale aumenta il rischio di pressione alta. A sua volta, l’ipertensione può portare a malattie cardiache e ictus. Un eccesso di sale aumenta anche il rischio di cancro e di ulcere gastriche.

Per ridurlo, però, basta qualche semplice accorgimento:

  • Limitare gli alimenti a elevato contenuto di sale come piatti pronti, patatine, salumi, pizze, salse, formaggi, ecc.
  • Optare per alternative in grado di dare sapore ai piatti: aglio, cipolla, timo, erba cipollina, basilico, limone, pepe, curry, paprika e tutti i tipi di spezie.
  • Assaggiare prima di salare
  • Non aggiungere sale all’acqua di cottura
  • Togliere la saliera dal tavolo

8. Optare per una cena vegetariana

La sera è consigliabile consumare una cena vegetariana, cioè senza carne, pesce o uova, in quanto favorisce il rilassamento e concilia il sonno.

A fine giornata è importante privilegiare le proteine vegetali rispetto a quelle animali. Queste ultime infatti favoriscono la produzione di dopamina, un neurotrasmettitore che stimola la veglia e la motivazione. Se le proteine animali sono ideali al mattino, per mantenersi in forma, di sera il nostro organismo ha invece bisogno di produrre serotonina, un neurotrasmettitore responsabile del rilassamento e della regolazione del sonno.

La serotonina è sintetizzata a partire dal triptofano, un amminoacido che si trova nelle proteine di origine vegetale come legumi, soia, riso integrale, semi di girasole, cioccolato, ecc. La presenza di carboidrati nei legumi e nei cereali, poi, contribuisce a ottimizzarne la produzione.

Alcuni alimenti favoriscono la produzione di serotonina e l’assimilazione di triptofano, migliorando la qualità del sonno:

Noci e mandorle: oltre ad apportare triptofano, contengono magnesio, la cui carenza può causare disturbi del sonno.

Carboidrati (cereali integrali o frutta): grazie alla secrezione di insulina, gli aminoacidi vengono trasportati al cervello anziché ai muscoli. Il triptofano può quindi iniziare a sintetizzare serotonina.

Inoltre, le proteine animali, così come i grassi cotti, sono molto impegnative per la digestione, in quanto costituite da molecole che hanno tempi di digestione lunghi.

9. Favorire le cotture a bassa temperatura

Una cottura eccessiva riduce la qualità nutrizionale degli alimenti, contribuendo alla distruzione di alcune vitamine e minerali. Numerose vitamine sono sensibili al calore e durante la cottura perdono rapidamente fino al 50% del loro tenore iniziale. Più il tempo di cottura è prolungato e più alta è la temperatura, più scarso sarà l’apporto nutrizionale della pietanza.

Inoltre, la doratura degli alimenti in cottura favorisce la produzione dei corpi di Maillard, composti che, se consumati in eccesso, possono aumentare il rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro.

Si consiglia quindi di privilegiare le cotture a bassa temperatura, cioè al di sotto dei 100°C. L’opzione più sana è la cottura a vapore in apposita vaporiera.

10. Mangiare cibi crudi ed evitare prodotti trasformati

Un alimento crudo è un prodotto venduto nella sua forma originale, come frutta e verdura, legumi, uova, pesce, ecc. Al contrario, i prodotti trasformati sono prodotti che hanno subito una trasformazione e che non si trovano naturalmente nella forma con cui sono commercializzati: piatti pronti, succhi di frutta e bibite, biscotti, ecc.

Gli alimenti ultralavorati hanno effetti problematici sulla salute: spesso sono caratterizzati da uno scarso apporto nutritivo, a fronte di un elevato indice glicemico. Inoltre, in genere contengono poche fibre e hanno una consistenza troppo blanda per saziare.

Infine, il consumo di alimenti trasformati altera l’equilibrio del microbiota. Di conseguenza, il microbiota intestinale è meno ricco di batteri buoni, fondamentali per il corretto funzionamento del nostro organismo perché combattono gli agenti patogeni (parassiti e batteri, per esempio) e svolgono funzioni essenziali per la prevenzione delle cosiddette “malattie del benessere”.

Ecco qualche consiglio per evitare gli alimenti trasformati:

Optare per prodotti con elenchi di ingredienti brevi (non più di 4 o 5 ingredienti).

Evitare prodotti i cui ingredienti includano elementi con nomi complicati (sciroppo di glucosio-fruttosio, proteine idrolizzate, amido modificato, ecc.)

Scegliere prodotti senza additivi potenzialmente pericolosi. Per individuarli, naturalmente, è possibile usare Yuka!

Consumare quanto più possibile prodotti crudi e non trasformati preparati in casa.

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Gli alimenti lattofermentati, preziosi alleati della salute https://yuka.io/it/alimenti-lattofermentati/ https://yuka.io/it/alimenti-lattofermentati/#comments Wed, 20 Dec 2023 15:41:00 +0000 https://yuka.io/?p=43173 Lasciar proliferare i batteri nei nostri cibi può sembrare un’idea folle. Eppure, la fermentazione è un processo impiegato da millenni per conservare gli alimenti e aumentarne i benefici grazie ai batteri «buoni». Tra i vari tipi di fermentazione, la fermentazione alcolica è la più nota. In quest’articolo, ci occupiamo invece di lattofermentazione, con la collaborazione […]

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Lasciar proliferare i batteri nei nostri cibi può sembrare un’idea folle. Eppure, la fermentazione è un processo impiegato da millenni per conservare gli alimenti e aumentarne i benefici grazie ai batteri «buoni». Tra i vari tipi di fermentazione, la fermentazione alcolica è la più nota. In quest’articolo, ci occupiamo invece di lattofermentazione, con la collaborazione del nutrizionista Anthony Berthou.

Che cos’è la lattofermentazione?

La lattofermentazione – o fermentazione lattica – è un processo di conservazione degli alimenti che consiste nel lasciarli macerare in assenza di ossigeno. Ne deriva una proliferazione di batteri lattici, dalle proprietà estremamente benefiche per il nostro organismo. Il termine «lattico» non si riferisce al lattosio e non ha quindi alcun legame con il latte.

I cibi naturalmente ricchi di batteri lattici, soprattutto gli ortaggi, vengono mescolati con un po’ di sale ed eventualmente dell’acqua. Ma questi microrganismi si possono anche aggiungere agli alimenti che non ne contengono, quali affettati e insaccati, tramite i fermenti lattici. Immersi in un liquido, i cibi evitano il contatto con l’aria: l’ossigeno è infatti nefasto allo sviluppo dei batteri lattici.

In queste condizioni per loro ottimali, i batteri lattici proliferano, nutrendosi degli zuccheri presenti nei cibi e trasformandoli in acido lattico. Mentre i batteri «buoni» si moltiplicano, l’acido lattico contribuisce a distruggere quelli patogeni, che generano invece diverse malattie.

La preparazione diventa via via sempre più acida. A un certo punto, quando il tenore di acido lattico raggiunge una certa soglia, si instaura un equilibrio e la fermentazione si blocca. Un alimento fermentato in questo modo si potrà conservare anche per vari anni.

In commercio, si trovano numerosi alimenti sottoposti a lattofermentazione: crauti, cetriolini, formaggi, yogurt, pane a lievitazione naturale, miso, kefir, kombucha…

Benefici preziosi

1 – Rafforzamento del sistema immunitario

Il nostro microbiota – o flora intestinale – è costituito da miliardi di batteri buoni di oltre 1000 specie diverse. Questi batteri sono indispensabili al corretto funzionamento del nostro organismo, perché contribuiscono a contrastare i batteri «cattivi» e i germi patogeni, proteggendoci da infezioni batteriche, virali o parassitarie.

Oggi sappiamo che uno squilibrio del microbiota è alla base di diverse patologie, quali obesità, diabete, alcune forme di cancro, disturbi dell’umore, malattie cardiovascolari, neurodegenerative e autoimmuni.

2 – Aumento del valore nutrizionale degli alimenti

A differenza di processi di conservazione come la sterilizzazione, che distrugge gran parte dei nutrienti, la lattofermentazione consente di preservare una buona quantità di vitamine e minerali. Ma non solo: aumenta anche il valore nutrizionale degli alimenti. Il tenore in vitamina K o vitamina B di un ortaggio fermentato sarà per esempio più elevato di quello di un ortaggio fresco.

3 – Migliore assimilazione dei nutrienti

La fermentazione lattica consente di ridurre la presenza negli alimenti di fattori antinutrizionali come i fitati, composti che impediscono l’assorbimento dei minerali (ferro, zinco, calcio, magnesio) e possono irritare l’intestino.

Come preparare in casa dei lattofermentati?

È anche possibile, e semplice, preparare cibi fermentati in casa: ortaggi, frutta, pane, yogurt, pesce…

Per iniziare, ti consigliamo di privilegiare gli ortaggi. Quasi tutti sono adatti alla fermentazione: cavoli, carote, porri, ravanelli, cetrioli, fagiolini, ecc. Ti occorrono soltanto dei barattoli di vetro a chiusura ermetica, acqua e sale. Molti siti web e blog parlano di questo argomento: su vegolosi.it, per esempio, troverai una guida completa alla fermentazione degli ortaggi.

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La soia: tutto quello che c’è da sapere https://yuka.io/it/soia-salute/ https://yuka.io/it/soia-salute/#comments Tue, 26 Sep 2023 13:56:00 +0000 https://yuka.io/?p=43157 La tendenza attuale a limitare la carne per questioni ambientali e di salute ha portato a un netto aumento del consumo di soia.  La soia è un legume, ovvero appartiene alla stessa famiglia di lenticchie, fave e piselli. Oggi esistono vari prodotti a base di soia: fagioli, germogli, olio, tofu, dessert o bevande vegetali, farina […]

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La tendenza attuale a limitare la carne per questioni ambientali e di salute ha portato a un netto aumento del consumo di soia. 

La soia è un legume, ovvero appartiene alla stessa famiglia di lenticchie, fave e piselli. Oggi esistono vari prodotti a base di soia: fagioli, germogli, olio, tofu, dessert o bevande vegetali, farina e fermentati. 

Ma quali sono i benefici della soia? E quali le controindicazioni in caso di consumo eccessivo? Ecco il nostro approfondimento sul tema, redatto in collaborazione con il nutrizionista Anthony Berthou.

Una buona fonte di proteine vegetali

Ricca di proteine vegetali di buona qualità, la soia è perfetta per vegetariani e vegani. Contiene buone proporzioni di amminoacidi essenziali ed è facilmente digeribile. 

È bene sottolineare però che la soia non contiene la stessa quantità di proteine in tutte le sue forme. Ecco alcuni esempi di prodotti e il relativo tenore di proteine per 100 g: 

  • Farina di soia: 45 g
  • Tempeh: 19 g
  • Tofu: 12 g
  • Miso: 12 g
  • Fagioli di soia cotti: 12 g
  • Dessert di soia: 5 g
  • Bevanda di soia: 4 g

La soia e gli ormoni

La soia contiene sostanze della famiglia dei fitoestrogeni, che possono interagire con gli estrogeni. Questi ormoni essenzialmente femminili sono presenti in quantità inferiore anche negli uomini. I fitoestrogeni possono entrare in competizione con gli estrogeni e legarsi ai loro recettori. Per questo motivo, il consumo di soia resta un tema controverso. 

Bisogna innanzitutto tener presente che la qualità del microbiota intestinale (vedi il nostro articolo sugli alimenti lattofermentati) ha un ruolo importante sull’effetto dei fitoestrogeni. Un microbiota sano è in grado di trasformarli in equolo, una molecola ancora più attiva in grado di aumentare i benefici della soia. Ma soltanto parte della popolazione (tra il 25 e il 60%) sembra possedere i batteri intestinali necessari alla sintesi dell’equolo. Ecco spiegato come mai la soia non ha gli stessi effetti in ognuno di noi. 

I fitoestrogeni avrebbero inoltre diversi benefici per la nostra salute. Sembra che contribuiscano a prevenire i tumori ormono-dipendenti, in particolare il cancro al seno. Alcuni studi mostrano però che, nelle donne già colpite da questa forma tumorale, i fitoestrogeni favoriscono la proliferazione delle cellule cancerose. 

I fitoestrogeni potrebbero inoltre ridurre il rischio di patologie cardiovascolari, rallentare l’osteoporosi e regolare l’espressione dei nostri geni. 

Ma il dibattito sull’argomento è tuttora aperto. Gli studi restano controversi e occorrono sicuramente ulteriori ricerche.  

Qual è l’impatto ambientale della soia?

In Brasile, il disboscamento della foresta amazzonica è in gran parte dovuto alla coltivazione di soia. La superficie dedicata alla coltivazione della soia è infatti passata da meno di 30 milioni di ettari nel 1970 a oltre 100 milioni (Agralytica, 2012).

Le coltivazioni di soia fanno ampio ricorso a pesticidi, soprattutto il glifosato, la cui tossicità è ampiamente dimostrata. Terreni e corsi d’acqua contaminati mettono così a repentaglio la salute delle popolazioni locali. Inoltre, la maggior parte della produzione mondiale di soia, in particolare di quella proveniente dal Brasile, è dominata da OGM, di cui non si conoscono ancora bene gli effetti a lungo termine sull’ecosistema. 

A questo proposito, occorre precisare che gran parte della soia coltivata nel mondo viene utilizzata per l’alimentazione del bestiame. Consumando carne, assumiamo quindi indirettamente soia. 

L’industria agroalimentare è anche responsabile dell’impatto ambientale della soia. L’olio di soia si usa infatti in molti prodotti trasformati (piatti pronti, salse, biscotti, ecc.) per il suo basso costo. Per evitare gli alimenti che contengono olio di soia, ti consigliamo di controllare sempre la lista di ingredienti dei prodotti che acquisti. 

Il problema non è quindi il consumo di soia di per sé, ma il suo impiego massiccio per l’alimentazione del bestiame e la produzione di prodotti trasformati nell’industria agroalimentare. 

Ma allora, che fare?

Oggi diversi studi mostrano i benefici per la salute di un consumo moderato di soia. Questo vale per gli alimenti, soprattutto se sottoposti a fermentazione come tempeh o miso, ma non per gli integratori alimentari.

Tuttavia, i dati di cui disponiamo non sono ancora sufficientemente chiari. Nell’attesa di studi complementari, consigliamo quindi di essere cauti. 

1) Limita il consumo di soia a 3-7 prodotti a settimana


Si raccomanda in particolare di limitarne il consumo tra i bambini piccoli e le donne in gravidanza o allattamento.

2) Consuma la soia nella sua forma naturale


Evita in particolare l’assunzione di integratori alimentari a base di fitoestrogeni.

3) Privilegia la soia fermentata (miso, tempeh)


La fermentazione consente di esaltare i benefici della soia, riducendo la presenza nel sistema digestivo di composti che rallentano l’assorbimento dei nutrienti. La fermentazione contribuisce anche a un migliore metabolismo delle forme attive della soia, come l’equolo, nel microbiota intestinale.

4) Preferisci la soia bio prodotta in Italia


Le ripercussioni sull’ambiente della coltivazione di soia in Brasile sono disastrose. È quindi importante privilegiare un consumo locale. Va detto in ogni caso che in Europa la soglia di tolleranza del biologico agli OGM è dello 0,9%.

5) Scegli soia bio non-OGM


Verifica che questa dicitura sia indicata sulla confezione.

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Come cucinare senza perdere nutrienti? https://yuka.io/it/metodo-cottura-salute/ https://yuka.io/it/metodo-cottura-salute/#comments Wed, 15 Feb 2023 10:16:00 +0000 https://yuka.io/?p=43080 Cuocere gli alimenti ha sicuramente dei vantaggi. Consente di facilitare la digestione delle fibre e di assimilare meglio alcuni nutrienti. Ma la cottura ha anche qualche inconveniente: contribuendo a distruggere alcune vitamine e minerali, riduce infatti la qualità nutrizionale degli alimenti. Numerose vitamine, in particolare la C, la B1 e la B9, sono sensibili al […]

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Cuocere gli alimenti ha sicuramente dei vantaggi. Consente di facilitare la digestione delle fibre e di assimilare meglio alcuni nutrienti.

Ma la cottura ha anche qualche inconveniente: contribuendo a distruggere alcune vitamine e minerali, riduce infatti la qualità nutrizionale degli alimenti. Numerose vitamine, in particolare la C, la B1 e la B9, sono sensibili al calore e durante la cottura perdono rapidamente fino al 50% del loro tenore iniziale.

I metodi di cottura non sono tutti uguali. Alcuni preservano meglio i nutrienti. Al contrario, più la cottura è lunga e la temperatura elevata, minore sarà l’apporto nutritivo degli alimenti. Insieme al nutrizionista Anthony Berthou, andiamo a scoprire le caratteristiche dei diversi metodi di cottura.

Cottura al vapore

Si tratta di una cottura realizzata in una vaporiera a bassa temperatura (ovvero inferiore a 100°C). È la soluzione ideale per ottimizzare il valore nutrizionale degli alimenti e preservare il più possibile vitamine e minerali.

Consente anche di mantenere invariati il sapore e la consistenza degli alimenti. È un metodo di cottura adatto alle verdure e a molti altri cibi: legumi, frutta, pollame, pesce, ecc.

Wok

La cottura nel wok è molto diffusa nella cucina asiatica: consiste nel far rosolare gli alimenti nell’omonimo recipiente o in una pentola dai bordi alti.

La cottura è molto rapida: gli alimenti vengono saltati a fuoco vivo per pochi secondi. In questo modo, l’impatto sul valore nutrizionale dei cibi resta limitato.

È un metodo di cottura interessante, anche perché permette di cuocere usando pochi grassi.

Cartoccio

Questo metodo di cottura consiste nel collocare gli alimenti in un involucro (di carta alluminio o di carta da forno) e poi cuocerli, solitamente in forno o al microonde. L’involucro protettivo consentirà di preservare meglio i nutrienti.

Tuttavia, la cottura al cartoccio prevede alte temperature (180°C o più), che riducono la qualità nutrizionale degli alimenti.

Se scegli questo metodo di cottura, privilegia la carta da forno per evitare la migrazione di microparticelle di alluminio nei cibi. Considera anche che, a differenza della carta da forno, la carta alluminio non è adatta al microonde.

Evita infine di lasciare cibi acidi (limone, vino bianco, aceto) a contatto con l’alluminio, perché l’acidità ne favorisce l’assorbimento.

In acqua

Durante la cottura in acqua, gli alimenti sono mantenuti a lungo ad alta temperatura, e ciò ne riduce il valore nutrizionale. Si raccomanda quindi di preferire una cottura a fuoco basso e di non portare l’acqua a ebollizione.

Tra l’altro, parte dei minerali (e delle vitamine, anche se in misura minore) passano nell’acqua di cottura. Si consiglia quindi, se possibile, di conservare l’acqua di cottura degli alimenti e di privilegiare verdure biologiche per non consumare anche i pesticidi che potrebbero migrare nell’acqua di cottura.

Forno

La cottura al forno è lunga e prevede spesso temperature molto elevate. Altera quindi sensibilmente la qualità nutrizionale degli alimenti.

Questo metodo di cottura favorisce anche la reazione di Maillard. Si tratta di una reazione chimica che avviene durante le cotture ad alta temperatura e che genera i cosiddetti corpi di Maillard. Durante la cottura, gli alimenti assumono un colore bruno ed emanano un aroma caratteristico. Pensiamo per esempio alla crosticina del pollo al forno. Lo stress ossidativo indotto nell’organismo dai corpi di Maillard è responsabile dell’invecchiamento cellulare e dell’aumento del rischio di cancro (vedi il nostro articolo sugli antiossidanti).

Padella

La cottura in padella è da limitare perché prevede alte temperature e un tempo piuttosto lungo.

È anche importante scegliere un olio adatto a questo metodo di cottura: l’olio d’oliva per cotture a fuoco basso, l’olio di cocco per temperature elevate. Attenzione anche a non lasciar fumare l’olio, altrimenti diventa nocivo.

Per lo stesso motivo, sarebbe meglio evitare di far imbrunire il burro. Se hai l’abitudine di usarlo per cucinare, privilegia il ghee (o burro chiarificato), che supporta temperature più elevate.

Barbecue

Durante la cottura al barbecue, il grasso della carne cola sulle braci generando piccole fiamme: il fumo rilascia una sostanza tossica cancerogena (il benzopirene) e molti altri composti nocivi che vanno a impregnare la carne.

Secondo uno studio, una bistecca da 100 g cotta al barbecue conterrebbe l’equivalente di 120 sigarette in termini di concentrazione di benzopirene (Kaisennan, 1996). Si raccomanda quindi di cuocere la carne ad almeno 10 cm dalle braci.

Se proprio non puoi fare a meno delle grigliate estive, opta per una plancha o un barbecue verticale: il fumo si leva verso l’alto senza impregnare la carne. Infine, per ridurre l’assorbimento di composti nocivi, fai marinare gli alimenti prima di cuocerli.

Microonde

Gli esperti esprimono pareri contrastanti sulla pericolosità della cottura al microonde. Per alcuni, a meno che il microonde non sia danneggiato, il livello di onde emesse non costituirebbe un rischio per la salute.

Per altri invece, le onde provocano cambiamenti innaturali nella struttura degli alimenti, dovuti alla vibrazione delle molecole d’acqua, con conseguenze di cui ignoriamo ancora i potenziali effetti.

Dato che la questione resta tuttora controversa, si consiglia di farne un uso moderato.

Frittura

Questo metodo di cottura ad altissima temperatura favorisce lo sviluppo di composti nocivi attraverso la reazione di Maillard.

Durante la frittura, la fase di imbrunimento degli alimenti si accompagna alla produzione di acrilamide, una molecola che favorisce l’insorgenza del cancro e, ad alte dosi, risulta neurotossica. Questa molecola si forma principalmente in presenza di zuccheri. Per esempio, durante una cottura in friggitrice, lo zucchero contenuto nelle patate favorirà la produzione di acrilamide.

Infine, la frittura aumenta la quantità di grassi contenuti negli alimenti. Solitamente, gli oli di frittura sono infatti ricchi di omega-6 e di acidi grassi saturi, dei grassi già presenti in eccesso nella nostra dieta.

Friggitrice ad aria

La friggitrice ad aria (o “air fryer”) rappresenta un’interessante alternativa alla frittura classica poiché permette di ridurre notevolmente l’assunzione di grassi (dal 70% all’80% circa).

Tuttavia, questo metodo di cottura non ostacola la formazione dei corpi di Maillard, composti problematici che si sviluppano durante la duratura degli alimenti. È pertanto un buon compromesso, ma da utilizzare con moderazione.

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Il cioccolato fa bene: ecco perché https://yuka.io/it/cioccolato-salute/ https://yuka.io/it/cioccolato-salute/#comments Wed, 08 Feb 2023 15:45:00 +0000 https://yuka.io/?p=43110 I golosi vanno matti per il cioccolato! Buon per loro, perché il cioccolato ha numerose proprietà. 😊 Approfondiamo l’argomento con il nutrizionista Anthony Berthou. Comprendere la composizione del cioccolato Il cioccolato si produce con le fave di cacao provenienti dall’albero di cacao. I tre ingredienti principali del cioccolato sono: La percentuale di cacao indicata sulle […]

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I golosi vanno matti per il cioccolato! Buon per loro, perché il cioccolato ha numerose proprietà. 😊 Approfondiamo l’argomento con il nutrizionista Anthony Berthou.

Comprendere la composizione del cioccolato

Il cioccolato si produce con le fave di cacao provenienti dall’albero di cacao. I tre ingredienti principali del cioccolato sono:

  • la pasta di cacao: si ottiene dalle fave di cacao tostate e macinate. La sua composizione naturale è burro di cacao per il 55% e cacao in polvere per il 45%.
  • il burro di cacao: si ottiene dalla pressione a freddo delle fave di cacao, che permette di separare burro e polvere di cacao.
  • lo zucchero.

La percentuale di cacao indicata sulle tavolette corrisponde alla somma del cacao contenuto nel cioccolato, ovvero della pasta di cacao (miscela di burro e polvere) e del burro di cacao.

Un potere antiossidante straordinario

Il cacao ha uno straordinario potere antiossidante e contribuisce alla prevenzione delle malattie cardiovascolari, di quelle neurodegenerative e anche del cancro (vedi il nostro articolo su gli antiossidanti).

Le proprietà del cioccolato sono concentrate nel cacao, che è ricchissimo di molecole dall’elevato potere antiossidante: i polifenoli. Più aumenta la percentuale di cacao nel cioccolato, maggiori sono le proprietà antiossidanti che ne derivano. Ecco perché il cioccolato fondente è quello da preferire. Un solo quadratino di cioccolato fondente con il 70% di cacao contiene tanti polifenoli quanto una tazza di tè verde lasciato infondere a lungo e il doppio rispetto a un bicchiere di vino rosso. Il tenore di antiossidanti del cioccolato al latte è invece piuttosto basso, mentre il cioccolato bianco, in cui il cacao è assente, non ne ha affatto.

Un consumo quotidiano di 20 g di cioccolato con almeno il 70% di cacao (ovvero 2 quadratini) costituisce un buon apporto di antiossidanti per l’organismo e si rivela prezioso per la salute. L’ideale sarebbe mangiare il cioccolato a merenda, nel pomeriggio.

Le altre proprietà del cioccolato

Grazie al contenuto di cacao, il cioccolato è anche ricchissimo di magnesio. Il cioccolato fondente contiene quasi il doppio del magnesio rispetto al cioccolato al latte. Le carenze di magnesio sono abbastanza frequenti: sembra infatti che l’apporto di magnesio sia insufficiente per circa il 75% della popolazione adulta. Queste carenze possono generare stanchezza, disturbi del sonno e irritabilità.

La presenza di zucchero consente al cioccolato di favorire l’azione della serotonina, un neurotrasmettitore che svolge un ruolo chiave sul nostro umore, garantendoci un senso di calma e benessere. Il cacao contiene inoltre la teobromina, anch’essa fondamentale per regolare l’umore.

Infine, sembra che alcuni antiossidanti presenti nel cioccolato (i flavonoli) contribuiscano all’equilibrio della flora intestinale, favorendo la proliferazione di batteri benefici per la salute.

Qual è l’impatto del cioccolato sull’ambiente?

Perfetto da regalare e da gustare durante le festività natalizie o una pausa golosa, la domanda mondiale di cioccolato è in costante aumento. Per soddisfarla, si radono al suolo intere foreste per far posto a piantagioni di alberi di cacao. La filiera del cioccolato rappresenta quindi il principale fattore di deforestazione in Costa d’Avorio e in Ghana. Tra l’altro, enormi risorse idriche sono necessarie per coltivare gli alberi di cacao.

Le cose stanno però iniziando a cambiare: un gran numero di fornitori di cacao e aziende produttrici di cioccolato si stanno infatti impegnando per raggiungere l’obiettivo “deforestazione zero”.

Consigliamo quindi di limitare il consumo di cioccolato – soprattutto di quello di bassa qualità piuttosto diffuso durante le feste – e di privilegiare il più possibile il cioccolato proveniente dal commercio equo e solidale, che impone dei criteri di tutela ambientale un po’ più rigidi.

Scegliere bene il cioccolato

Ecco alcuni consigli per orientarsi nella scelta del cioccolato:

Privilegia il cioccolato fondente con almeno il 70% di cacao, perché è nel cacao in polvere che si concentrano tutti i benefici. L’ideale sarebbe passare gradualmente al cioccolato con il 90% di cacao.


Controlla la composizione del cioccolato. Gli ingredienti base del cioccolato sono soltanto tre: pasta di cacao, zucchero e burro di cacao. Evita il cioccolato che contiene aromi o additivi, per esempio le lecitine.


Scegli il cioccolato realizzato con puro burro di cacao. Alcuni produttori aggiungono grassi meno costosi rispetto al burro di cacao, come l’olio di palma o il burro di karitè.

Opta per il cioccolato biologico perché le coltivazioni di fave di cacao non sfuggono all’impiego di numerosi pesticidi.

Il cioccolato resta comunque un alimento ricco di grassi e calorie. Limita il tuo consumo quotidiano a due o tre quadratini di cioccolato fondente con almeno il 70% di cacao: una dose sufficiente per godere appieno di tutte le sue proprietà. L’ideale sarebbe consumare soltanto il cacao in polvere a crudo, che contiene pochissimi zuccheri e grassi, ricoprendo per esempio piatti o dessert con una spolverata di cacao.

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Interferenti endocrini: una bomba a orologeria? https://yuka.io/it/interferenti-endocrini-salute/ https://yuka.io/it/interferenti-endocrini-salute/#comments Mon, 09 Jan 2023 11:44:39 +0000 https://yuka.io/?p=58612 Nel corso del 20° secolo, l’industria chimica ha sintetizzato oltre 100.000 molecole1. I prodotti chimici di origine industriale oggi commercializzati nel mondo sono infatti dai 40.000 ai 60.0002. Molti di questi contengono sostanze considerate interferenti endocrini dimostrati o potenziali. Negli ultimi anni sotto i riflettori dei media, i perturbatori endocrini sono onnipresenti nel nostro quotidiano: […]

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Nel corso del 20° secolo, l’industria chimica ha sintetizzato oltre 100.000 molecole1. I prodotti chimici di origine industriale oggi commercializzati nel mondo sono infatti dai 40.000 ai 60.0002. Molti di questi contengono sostanze considerate interferenti endocrini dimostrati o potenziali.

Negli ultimi anni sotto i riflettori dei media, i perturbatori endocrini sono onnipresenti nel nostro quotidiano: si ritrovano negli alimenti, nei vestiti, nei mobili, ma anche nell’aria che respiriamo e nell’acqua che beviamo. Ma cosa sono esattamente e perché sono così tanto incriminati? E poi, ci sono soluzioni per sfuggirci?

Il ricercatore e biologo Jean-Baptiste Fini, specializzato nello studio dei perturbatori endocrini, ci aiuta a saperne di più in questo approfondimento.

Cosa sono gli interferenti endocrini?

Secondo la definizione dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), un interferente endocrino è una “sostanza esogena, o una miscela, che altera la funzionalità del sistema endocrino, causando effetti avversi sulla salute di un organismo, oppure della sua progenie o di una (sotto)popolazione”³.

Per capire come agiscono i perturbatori endocrini, bisogna innanzitutto conoscere il funzionamento degli ormoni. Il nostro corpo secerne abitualmente ormoni che svolgono il ruolo di messaggeri chimici, i quali mettono in comunicazione i vari organi, provocando reazioni diverse. Il nostro cervello svolge il ruolo di direttore d’orchestra dei circa cinquanta ormoni prodotti dall’organismo.

Questi ormoni consentono la formazione degli organi e controllano processi a lungo termine come la crescita, la riproduzione e lo sviluppo. Sono responsabili delle reazioni fisiologiche del nostro organismo, regolando in particolare l’appetito, la temperatura corporea, il sonno e perfino l’umore.

I perturbatori endocrini sono problematici in quanto interferiscono con il normale funzionamento degli ormoni, alterandone il messaggio. Possono agire a diversi livelli:

  • Interferendo con la sintesi, il trasporto, il degrado e lo smaltimento degli ormoni naturali
  • Mimando l’azione degli ormoni, inducendo quindi reazioni anomale
  • Impedendo la normale attività degli ormoni, in particolare legandosi ai recettori espressi dalle cellule bersaglio

Agendo in questi modi, gli interferenti endocrini alterano diversi processi essenziali per l’organismo, come il metabolismo, la riproduzione e il funzionamento del sistema nervoso, causando le conseguenze che vedremo in quest’articolo.

Dove si trovano?

Le fonti di esposizione sono numerose, dato che questi nemici invisibili si nascondono ovunque negli ambienti che frequentiamo quotidianamente.

Acqua e alimentazione

  • La presenza di additivi nell’alimentazione, in particolare in frutta e verdura, contribuisce di molto alla nostra esposizione agli interferenti endocrini. Tra i 90 pesticidi rivalutati dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) dal 2018, sono stati individuati 10 interferenti endocrini.
  • Alcuni additivi alimentari come il BHA (E320) o il BHT (E321) sono tra i potenziali responsabili dell’alterazione del sistema endocrino4-7
  • Anche l’acqua del rubinetto può contenere interferenti endocrini a causa della contaminazione da pesticidi o farmaci (in particolare i contraccettivi).

Imballaggi alimentari e utensili da cucina

  • Si possono ritrovare interferenti endocrini in alcuni imballaggi alimentari, soprattutto nella pellicola e negli involucri di plastica. I plastificanti, come gli ftalati, sono suscettibili di migrare negli alimenti, specie sotto l’effetto del calore8
  • Alcuni imballaggi alimentari di carta o cartone possono invece contenere composti perfluorurati (come i cartoni per la pizza o le buste dei popcorn da preparare in microonde) oppure oli minerali derivanti da inchiostro o adesivi. Queste sostanze rischiano di migrare nelle pietanze e avere un impatto sul sistema endocrino9,10.
  • Gli utensili da cucina con rivestimenti antiaderenti possono contenere sostanze, in particolare composti perfluorurati (PFOA, PFOS), che agiscono come interferenti endocrini.

Farmaci

  • Alcuni farmaci potrebbero presentare degli effetti sul sistema endocrino11
  • Per le donne, contraccettivi come la pillola sono per definizione interferenti endocrini, dato che alterano il funzionamento degli ormoni per bloccare l’ovulazione.
  • I farmaci, fondamentali per la salute, apportano più vantaggi che rischi. Da considerare in questo caso non è tanto il loro impatto sulla salute, ma piuttosto sull’ambiente (vedi sotto).

Cosmetici e prodotti per la casa

  • Molti prodotti per la casa contengono interferenti endocrini dimostrati o potenziali, come i conservanti o i texturizzanti (triclosan, ftalati o alcuni parabeni).
  • Sostanze problematiche si possono ritrovare anche nei cosmetici e nei prodotti d’igiene (deodoranti, shampoo, make-up, dentifrici, ecc.)

Casa e arredamento

  • Mobili e complementi d’arredamento contribuiscono a inquinare gli interni, soprattutto perché contengono dei ritardanti di fiamma bromurati, volti a limitare il rischio d’incendio, alcuni dei quali sono classificati come interferenti endocrini.
  • I prodotti in tessuto (tende, moquette, materassi, ecc.) contengono ritardanti di fiamma o composti anti-macchia (in particolare, perfluorurati), alcuni dei quali sono potenziali interferenti endocrini.
  • I mobili possono liberare molteplici sostanze volatili rischiose per la salute, come il formaldeide. Contenuto nella colla usata per l’assemblaggio, si ritrova principalmente nei mobili in truciolato.
  • Anche le pitture per interni possono contenere potenziali interferenti endocrini.

Nel 2019, uno studio realizzato da Santé Publique France, l’agenzia nazionale francese di salute pubblica, ha dimostrato che interferenti endocrini dimostrati o potenziali sono presenti nell’organismo di tutti i francesi, con un tasso più elevato nei bambini. Sono state riscontrate sostanze appartenenti a 6 categorie di perturbatori endocrini: bisfenoli, parabeni, ftalati, eteri glicolici, ritardanti di fiamma bromurati e composti perfluorurati. Secondo Santé Publique France, i livelli di contaminazione rilevati sono paragonabili a quelli di altri studi condotti all’estero, in particolare negli Stati Uniti e in Canada¹².

Bisfenolo A: quando sarà messo al bando in Europa?

Il bisfenolo A (BPA) è una sostanza che si trova in numerose plastiche. Proibito nei biberon per lattanti in policarbonato in Europa dal 2011 per il rischio di alterazione del sistema endocrino, si ritrova tuttora in alcuni contenitori alimentari, pur sotto una determinata soglia.

Nel 2019, l’Agenzia europea per i prodotti chimici (ECHA) ha riconosciuto il bisfenolo A come sostanza “estremamente preoccupante” per i suoi effetti sull’ovulazione, l’apprendimento e la memoria13. Nel dicembre 2021, l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha ridotto la Dose Giornaliera Ammissibile (DGA), senza tuttavia proibire del tutto l’impiego di tale sostanza.

Inoltre, le molecole alternative attualmente utilizzate – bisfenolo F e bisfenolo S – potrebbero rivelarsi altrettanto problematiche del bisfenolo A. Molti studi suggeriscono infatti che avrebbero una tossicità analoga a quella del bisfenolo A14-16. L’ECHA sta prendendo in considerazione la necessità di rivedere le norme riguardanti l’impiego di tali sostanze.

Quali sono gli effetti degli interferenti endocrini?

Gli effetti dimostrati o potenziali degli interferenti endocrini sulla salute sono numerosi, sia sulla salute che sull’ambiente.

Gli effetti sulla salute

Secondo uno studio pubblicato da Santé Publique France nel 2021, più di cinquanta effetti sulla salute sarebbero imputabili agli interferenti endocrini17. Ecco i più importanti:

1. Effetti sul sistema riproduttivo

Gli interferenti endocrini hanno un impatto sulla funzione riproduttiva a vari livelli. Fin dalla nascita, gli interferenti endrocrini possono alterare il normale sviluppo e il funzionamento del sistema riproduttivo: un’esposizione precoce a queste sostanze rende gli individui più predisposti a disturbi della pubertà e/o della fertilità18.

Gli interferenti endocrini possono alterare il sistema riproduttivo maschile e femminile, bloccando la spermatogenesi (formazione degli spermatozoi) e l’ovogenesi (formazione degli ovociti), con un conseguente calo della fertilità19,20,23.

L’esposizione agli interferenti endocrini può inoltre favorire malformazioni dei testicoli e delle ovaie, l’endometriosi o la sindrome dell’ovaio policistico21-25.

Infine, la pubertà precoce potrebbe risultare più frequente, con un’incidenza 10 volte superiore nelle ragazze rispetto ai ragazzi26.

2. Obesità e diabete

L’esposizione agli interferenti endocrini può favorire obesità e diabete. Sembra infatti che un’alimentazione più calorica e una ridotta attività fisica non siano sufficienti a giustificare l’epidemia di obesità e diabete osservata nei paesi industrializzati.

Alterando il funzionamento di determinati ormoni, gli interferenti endocrini potrebbero influenzare la regolazione del metabolismo di glucidi e lipidi, dell’appetito e della sazietà27,28. Agirebbero in particolare durante lo sviluppo fetale, alterando a vita l’equilibrio energetico dell’individuo, ovvero quello tra apporto e dispendio calorico, favorendo quindi l’obesità29-32.

L’esposizione agli interferenti endocrini, provocando anomalie nella regolazione e la secrezione di insulina, potrebbe portare all’insulino-resistenza, un fattore chiave nell’insorgenza del diabete di tipo 233.

3. Disturbi dello sviluppo

Gli interferenti endocrini sembrano coinvolti in svariati disturbi del comportamento infantile: iperattività, problemi relazionali ed emotivi, ansia, aggressività34-36

Infatti, interferendo con il funzionamento dell’ormone tiroideo, cruciale per lo sviluppo cerebrale, i perturbatori endocrini sarebbero responsabili di una riduzione del quoziente intellettivo e delle capacità cognitive dell’essere umano37-41.

4. Tumori

Alcuni interferenti endocrini potrebbero aumentare l’incidenza dei tumori ormono-dipendenti: cancro alla mammella, alle ovaie, alla prostata, ai testicoli e alla tiroide. Un’esposizione in utero o durante l’infanzia potrebbe favorire l’insorgenza dei suddetti tipi di cancro in età adulta42-48.

I periodi di maggiore vulnerabilità

La vulnerabilità agli interferenti endocrini è maggiore in determinati periodi della nostra vita, in particolare durante lo sviluppo di organi e tessuti o quando l’organismo subisce delle vere e proprie tempeste ormonali.

I periodi di maggiore vulnerabilità risultano quindi la fase di sviluppo del feto (sia per la madre che per il feto), la prima infanzia e la pubertà. I cosiddetti 1000 primi giorni di vita ovvero il periodo che si estende dal concepimento fino ai due anni, sono fondamentali per la salute futura dell’individuo. È importante quindi far prova di una vigilanza ancora maggiore.

Gli effetti sull’ambiente

Data una presenza massiccia nel nostro quotidiano, gli interferenti endocrini si diffondono nell’ambiente, mettendo a rischio tutti gli organismi viventi. I pesticidi contaminano direttamente il suolo e i fiumi; i prodotti per la casa contenenti interferenti endocrini sono filtrati male dai depuratori dell’acqua perché non presenti nella lista delle sostanze da eliminare, contaminando l’ambiente.

Qualunque essere vivente può essere soggetto all’azione degli interferenti endocrini, in quanto non solo tutti gli organismi viventi secernono ormoni, ma gli ormoni sono esattamente gli stessi in tutti i vertebrati. La funzione degli ormoni può variare, ma la loro struttura è identica. Negli umani, gli ormoni tiroidei consentono la maturazione del cervello nelle fasi di sviluppo e la regolazione dell’umore e del calore corporeo in età adulta. Ma il ruolo della tiroide è ancora più spettacolare negli anfibi, nei quali consente la metamorfosi da girino a rana. La presenza di un farmaco antitiroideo in uno stagno sarebbe quindi problematico perché impedirebbe tale metamorfosi.

Numerosi studi hanno evidenziato diverse anomalie negli animali dovute agli effetti nefasti di alcuni perturbatori endocrini. Questi effetti sono stati osservati in popolazioni di pesci, rettili, invertebrati e uccelli. Gli inquinanti a presentare un impatto sulle reazioni fisiologiche degli esseri viventi sono talmente numerosi da non poter essere approfonditi in questa sede. Ci concentreremo quindi su un paio di esempi significativi: il DDT, un pesticida, e il DEHP, uno ftalato.

Il DDT è un insetticida persistente che si è ampiamente diffuso dopo la seconda guerra mondiale. Nelle aree in cui era stato utilizzato, sono stati registrati effetti tossici importanti nelle popolazioni acquatiche e terrestri. Diversi studi hanno evidenziato il legame tra l’irrorazione di DDT e l’assottigliamento dei gusci delle uova di uccello che, schiudendosi troppo precocemente, ne determinavano l’aumento della mortalità49-52. Negli anni ’80 sono state osservate anomalie degli organi riproduttivi negli alligatori maschi di un lago della Florida, che hanno portato a un calo significativo della popolazione. Questo fenomeno è stato attribuito alla grande quantità di DDT irrorato varie decine di anni prima nella zona53. Da allora, il DDT è stato vietato da molti Paesi, ma il suo uso per scopi sanitari, per esempio per combattere la malaria, è ancora tollerato in via eccezionale54.

Il secondo esempio riguarda il DEHP, uno flalato considerato “estremamente preoccupante” per la salute dal 2017 dall’Unione Europea. Il DEHP, o meglio un suo derivato, il MEHP, è presente in quasi tutti i vertebrati terrestri o marini55,56. Gli effetti, anche a dosi inferiori alla norma, possono risultare inaspettati. Nei roditori, è stato dimostrato che un’esposizione del feto agli ftalati causa un comportamento sessuale alterato nei maschi e rende il loro cervello più permeabile agli inquinanti57.

Oltre agli esempi qui riportati, gli scienziati hanno osservato anche altri effetti sull’ambiente imputabili agli interferenti endocrini.

Gli interferenti endocrini sono oggi poco regolamentati

Attualmente non esiste un elenco unico e ufficiale di interferenti endocrini. In Francia, l’ANSES (Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare, ambientale e del lavoro) ha pubblicato nell’aprile del 2021 una lista contenente 900 sostanze e una strategia volta a identificare e valutare più rapidamente gli interferenti endocrini.

Tuttavia, per il momento, non è previsto l’obbligo di testare prima della commercializzazione gli effetti dei prodotti finiti (additivi alimentari, cosmetici, farmaci, giocattoli, imballaggi, ecc.) o delle loro componenti sul sistema endocrino.

Dal 2018, nell’Unione Europea, si analizzano prima della commercializzazione gli effetti sul sistema endocrino solamente di pesticidi e biocidi. Le sostanze di questo tipo attualmente presenti sul mercato sono soggette a una valutazione retroattiva, che potrebbe portare a limitarne o vietarne l’uso, ma questo processo purtroppo richiede tempo. Per le altre categorie di prodotti, un documento guida è atteso per il 2022.

Secondo il regolamento europeo REACH (Registration, Evaluation, Authorization, and Restriction of Chemicals) pubblicato nel 2007, le sostanze che presentano proprietà di alterazione endocrina possono considerarsi “estremamente preoccupanti” (Substance of Very High Concern – SVHC), senza essere necessariamente vietate. Ogni Stato membro dell’Unione Europea è tenuto a presentare un dossier e a esprimersi sul divenire del composto in questione. Nel 2021, nonostante gli effetti dimostrati del resorcinolo, un ingrediente che si ritrova in particolare nei cosmetici, sulla tiroide, gli Stati membri non ne hanno proibito l’utilizzo.

Al giorno d’oggi, la regolamentazione riguardante gli interferenti endocrini risulta quindi lacunosa. Per garantire la tutela dei consumatori, andrebbero certamente rivisti alcuni elementi.

Effetti anche a bassa dose

Alcuni interferenti endocrini smentiscono una regola da tempo considerata infallibile in tossicologia, secondo la quale “è la dose che fa il veleno”. Infatti, vari studi hanno dimostrato che i perturbatori endocrini potrebbero agire anche a dosi molto basse.

Alcuni studi dimostrano addirittura che un basso dosaggio può causare effetti superiori a quelli determinati da un alto dosaggio. In certi casi, determinate sostanze sono nefaste soltanto in caso di un’esposizione a dosi limitate, mentre non presentano alcun effetto a dosi elevate58,59.

Gli studi di Sarah Jenkins sul bisfenolo A mostrano ad esempio che il BPA agisce sul volume del tumore nelle cavie a cui è stato impiantato. Questi effetti sullo sviluppo delle cellule tumorali si osservano in caso di esposizione a dosi molto basse, inferiori alla Dose Giornaliera Ammissibile (DGA), e sono più importanti a dosi intermedie. A dosi elevate, invece, gli effetti si riducono60.

Analogamente, uno studio sugli ftalati ha dimostrato gli effetti di un’esposizione a basse dosi di queste sostanze sul comportamento dei roditori. Non sono invece stati osservati effetti in caso di esposizione a dosi elevate61.

Lo stesso effetto è stato riscontrato per i composti perfluorati, come il PFOS, utilizzati in molti beni di consumo come gli impermeabilizzanti per tessuti, i rivestimenti antiaderenti o alcuni imballaggi alimentari. Uno studio realizzato sui girini mostra che il PFOS altera il corretto funzionamento degli ormoni tiroidei in caso di esposizione a dosi intermedie, ma non a dosi basse o elevate38.

Un “effetto cocktail” inquietante

Esiste un’altra problematica importante legata agli interferenti endocrini: se combinati, la loro tossicità risulta maggiore. In altre parole, l’esposizione a diverse sostanze entro i valori soglia previsti (la “soglia di sicurezza”) potrebbe comunque determinare effetti di alterazione endocrina. Si tratta del cosiddetto “effetto cocktail”62-64. Questo effetto mette in discussione la valutazione del rischio basata sulle singole sostanze, che prescinde dalla loro interazione.

Uno studio internazionale pubblicato nel 2022 ha mostrato che l’esposizione a una miscela di prodotti chimici (ftalati, fenoli e perfluorati) presenta degli effetti di alterazione endocrina e che una sovraesposizione durante la gravidanza altera il corretto funzionamento cerebrale nei bambini, causando in particolare un ritardo nel linguaggio65.

Questo ”effetto cocktail” complica notevolmente l’analisi degli interferenti endocrini: sarebbe infatti necessario testare tutte le interazioni possibili tra le migliaia di sostanze chimiche che potrebbero presentare effetti sul sistema endocrino.

Come evitare queste sostanze?

Al giorno d’oggi risulta difficile evitare gli interferenti endocrini, onnipresenti nell’ambiente in cui viviamo. Tuttavia, è possibile limitarne il più possibile l’esposizione, nell’attesa della loro interdizione legale.

Imballaggi alimentari e utensili da cucina

  • Limitare il consumo di alimenti che sono stati in contatto con un involucro in plastica
  • Utilizzare materiali inerti (vetro, acciaio inossidabile, ceramica) per la preparazione e la conservazione degli alimenti
  • Evitare di scaldare le pietanze in contenitori in plastica
  • Privilegiare l’acquisto di prodotti provenienti dall’agricoltura biologica
  • Ridurre il consumo di alimenti ultra-processati, che potrebbero contenere additivi problematici
  • Evitare gli utensili antiaderenti (in particolare le padelle) e scartarli non appena il rivestimento inizia a rovinarsi
  • Utilizzare sale iodato per evitare le carenze di iodio, indispensabile per la sintesi degli ormoni tiroidei

Cosmetici e prodotti per la casa

  • Limitare l’utilizzo di prodotti superflui per la pulizia della casa e privilegiare prodotti naturali quali l’aceto bianco, il bicarbonato di sodio e il sapone di Marsiglia
  • Evitare i cosmetici che contengono conservanti quali i parabeni
  • Privilegiare i cosmetici biologici, che vietano l’impiego di numerose sostanze controverse
  • Utilizzare pannolini bio o lavabili per i neonati (il cotone presente nei pannolini può contenere residui di pesticidi dagli effetti problematici)
  • Per lo stesso motivo, è meglio privilegiare protezioni periodiche (assorbenti interni o esterni) a base di cotone biologico

Casa e arredamento

  • Arieggiare casa per almeno 15 minuti al giorno e passare regolarmente l’aspirapolvere: l’inquinamento interno è una fonte importante di esposizione agli interferenti endocrini
  • Evitare l’impiego di spray (profumatori, impermeabilizzanti, disinfettanti), candele o incensi, che contribuiscono a inquinare l’aria
  • Evitare la moquette e le pavimentazioni in polivinilcloruro
  • Lavare i tessuti nuovi (fodere, cuscini, tappeti, tende…) prima di usarli oppure optare per tessili per la casa di seconda mano
  • Privilegiare mobili realizzati con materiali naturali non trattati ed evitare quelli in PVC o compensato, che contengono colle e plastificanti responsabili di rilasciare composti volatili negli ambienti
  • Optare per mobili di seconda mano
  • Preparare la cameretta di un neonato diverse settimane prima della nascita, assicurandosi di arieggiare quotidianamente
  • Spegnere il computer e il cellulare durante la notte (o almeno attivare la modalità stand-by / aereo). Se i dispositivi sono attivi, i ritardanti di fiamma contenuti nelle schede madri elettroniche liberano composti volatili

Abbigliamento

  • Lavare i vestiti nuovi prima di utilizzarli
  • Evitare di portare i capi tecnici in tessuti sintetici, se non durante lo sport

Giocattoli

  • Lavare i giocattoli nuovi con acqua e sapone
  • Privilegiare giocattoli in legno massiccio o in tessuto bio
  • Limitare i giocattoli in plastica o in legno trattato, soprattutto se portati alla bocca
  • Optare per giocattoli di seconda mano, ma di fabbricazione recente

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Verità e falsi miti sul glutine https://yuka.io/it/glutine-salute/ https://yuka.io/it/glutine-salute/#comments Tue, 20 Sep 2022 03:00:38 +0000 https://yuka.io/?p=38837 Non si è mai parlato tanto di glutine come negli ultimi tempi. Ora che i prodotti gluten-free sono sempre più alla moda, c’è assoluto bisogno di fare un po’ di chiarezza. È quello che faremo oggi con l’aiuto del nutrizionista Anthony Berthou. Tanto per cominciare, che cos’è il glutine? Il glutine è una proteina che […]

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Non si è mai parlato tanto di glutine come negli ultimi tempi. Ora che i prodotti gluten-free sono sempre più alla moda, c’è assoluto bisogno di fare un po’ di chiarezza. È quello che faremo oggi con l’aiuto del nutrizionista Anthony Berthou.

Tanto per cominciare, che cos’è il glutine? Il glutine è una proteina che si trova in alcuni cereali e ne consente la germinazione dei semi. È abbondante nel frumento, ma si trova in quantità inferiore anche in altri cereali, come l’avena, l’orzo o la segale.

Il termine «glutine» deriva dal latino gluten, che significa «colla». A contatto con l’acqua, il glutine è infatti in grado di rendere l’impasto elastico, favorendone la lievitazione.

Solo l’1% della popolazione è sensibile al glutine: FALSO

La celiachia è una patologia autoimmune che sembra riguardare circa l’1% degli italiani, anche se in realtà in molti casi – dal 30 all’80% a seconda degli studi – non viene diagnosticata. Si stima invece che almeno il 5-10% della popolazione presenti un’ipersensibilità al glutine, che si traduce in disturbi intestinali, stanchezza, emicrania o dolori articolari.

Il glutine può alterare l’equilibrio del nostro organismo: VERO

L’intestino tenue è un organo che ha la funzione di completare la digestione degli alimenti trasformandoli in sostanze assimilabili dall’organismo. L’intestino presenta una parete interna molto fragile detta mucosa intestinale. Questa mucosa ha una funzione chiave, in quanto costituisce una barriera contro le molecole troppo grandi, potenzialmente nocive per l’organismo. Riduce inoltre il passaggio di tossine, virus e batteri patogeni.

La mucosa intestinale è costituita da cellule molto vicine tra loro che assicurano l’impermeabilità. Esistono però vari fattori che possono danneggiare la mucosa e il microbiota, alterandone il funzionamento: assunzione di antibiotici, eccesso di proteine, masticazione insufficiente, pesticidi, edulcoranti, elevato consumo di glutine…

Questi fattori contribuiscono alla cosiddetta permeabilità intestinale ovvero alterano le giunzioni tra le cellule della mucosa, che iniziano a distanziarsi. La mucosa intestinale, più permeabile, consente quindi il passaggio di sostanze quali frammenti di membrane batteriche, proteine del glutine o peptidi derivati dalle proteine del latte. Pensa a uno scolapasta dai fori troppo larghi che non riesce a trattenere dei chicchi di riso: allo stesso modo, queste sostanze indesiderate attraversano la parete intestinale e finiscono nel sangue.

Il nostro organismo cerca allora di difendersi da queste sostanze generalmente assenti nel sangue, specialmente se la permeabilità intestinale si associa a un’alterazione del microbiota, detta disbiosi.

L’organismo reagisce attivando una risposta immunitaria e infiammatoria, che favorisce l’insorgenza o il mantenimento di disturbi funzionali e ipersensibilità alimentari. Alcuni di questi sono problemi digestivi, infiammazioni intestinali, emicrania, o perfino un aumento di infezioni a ripetizione e patologie infiammatorie croniche o autoimmuni in caso di predisposizione genetica (eczema, asma, sclerosi multipla, artrite reumatoide, malattia di Crohn, otiti e bronchiti ricorrenti, ecc.).

Che cos’è il microbiota?

Il nostro intestino è popolato da circa 100.000 miliardi di batteri di oltre 1000 specie diverse. Questi batteri costituiscono il cosiddetto microbiota o flora intestinale.

I batteri «buoni» presenti nell’intestino sono fondamentali per il corretto funzionamento del nostro organismo, in quanto inibiscono e neutralizzano quelli patogeni. Ci aiutano inoltre a difenderci da batteri, virus e parassiti.

Oggi sappiamo che lo squilibrio del microbiota intestinale è coinvolto in vari disturbi quali obesità, patologie cardiovascolari, diabete, alcune forme di cancro, alterazioni dell’umore e malattie neurodegenerative o autoimmuni come la sclerosi multipla.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, non basta mangiare un pezzetto di pane per alterare il funzionamento dell’organismo. Solitamente, a scaturire una reazione avversa è una concomitanza di fattori, in particolare:

  1. La predisposizione genetica: alcune persone tollerano più facilmente il glutine, mentre altre sono più sensibili a questa proteina.
  2. L’alterazione del microbiota intestinale.
  3. La presenza di altri fattori, oltre al consumo di glutine, che intervengono ad alterare la permeabilità intestinale: elevato apporto di carboidrati o proteine, masticazione insufficiente, assunzione ripetuta di antibiotici, consumo elevato di latte vaccino, ecc.

In altre parole, se è vero che il glutine può favorire la permeabilità intestinale, la risposta dell’organismo è diversa in ognuno di noi: molti non avranno alcun disturbo, mentre in altri potrà insorgere una delle reazioni elencate sopra. La fetta di popolazione che presenta un’elevata sensibilità al glutine resta però piuttosto bassa. Non disponiamo ancora di dati scientifici sufficienti a determinare l’esatta percentuale, ma sappiamo che si attesta attorno al 5-10%.

Il glutine può contribuire all’insorgenza di una patologia solo se esiste una predisposizione o sono presenti altri fattori che alterano l’integrità della mucosa. È proprio questa concomitanza di cause a generare la reazione avversa dell’organismo.

Il frumento causava meno disturbi una volta: VERO

Per aumentare i rendimenti e ottimizzare la resa, i geni del frumento moderno hanno subito incroci tra diverse varietà per ottenere spighe di grano più corte e più facili da mietere, ma anche più resistenti agli attacchi esterni. Queste ibridazioni hanno consentito di migliorare la facilità e la rapidità di lavorazione della farina di frumento e di ridurre il tempo di lievitazione dell’impasto.

Hanno aumentato infatti la “forza” del glutine, ovvero la resistenza dell’impasto alle sollecitazioni. Le ibridazioni e la selezione delle varietà di frumento – che hanno reso il glutine più forte – potrebbero essere responsabili della maggiore sensibilità al glutine riportata da parte della popolazione.

Il farro monococco è una varietà di frumento che contiene molto meno glutine ed è tollerata meglio dall’organismo. Si tratta di una varietà più antica rispetto al frumento che consumiamo oggi, e che genera meno reazioni immunitarie o infiammatorie. A differenza del farro monococco, il farro è più ricco di glutine, ma resta comunque da preferire al frumento dal punto di vista nutrizionale.

Ridurre il consumo di glutine può fare bene alla salute: VERO

In assenza di un’ipersensibilità al glutine, non c’è alcun motivo di eliminare il glutine dalla propria dieta. Limitare il consumo di glutine, pur sempre nell’ambito di un’alimentazione equilibrata, può avere invece dei benefici sulla salute in generale, in quanto riduce il rischio di deterioramento della mucosa intestinale.

Alcuni studi indicano che tra il 10 e il 40% della popolazione presenta un’intolleranza ai fruttani, un tipo di fibre presenti soprattutto nel frumento e responsabili di diversi disturbi digestivi: diarrea, gonfiore, flatulenza, ecc. Chi è soggetto a problemi di digestione ricorrenti può provare a eliminare dalla propria dieta tutti gli alimenti che contengono fruttani al fine di ristabilire l’equilibrio della flora intestinale, per poi reintrodurli gradualmente. I fruttani si trovano nei cereali che contengono glutine, ma anche in numerosi vegetali.

La dieta gluten-free fa dimagrire: FALSO

Il glutine è una proteina, quindi di per sé non fa certo ingrassare. È vero però che le diete prive di glutine possono aiutare a perdere peso perché prevedono l’eliminazione di pane, pasta, pizza, dolci e biscotti, a patto di non sostituirli con prodotti gluten-free altrettanto grassi e ricchi di zuccheri.

Gli alimenti industriali gluten-free sono più sani: FALSO

Nei prodotti industriali gluten-free, il glutine è spesso sostituito da numerosi additivi che ne migliorano il sapore e la consistenza. È bene anche tener presente che un prodotto gluten-free può comunque risultare troppo grasso, zuccherato o salato. Se scegli alimenti senza glutine con l’obiettivo di seguire un’alimentazione più sana, ricordati quindi di verificare sempre gli ingredienti.

Una dieta gluten-free può generare carenze: FALSO

Una dieta priva o povera di glutine prevede di eliminare alcune categorie di alimenti. Ciò ci consente di variare la nostra alimentazione, introducendo per esempio legumi (fagioli, lenticchie, ceci, ecc.) o altri cereali (riso, grano saraceno, miglio, ecc.).

Si possono osservare carenze solo nel caso in cui i prodotti contenenti glutine siano sostituiti esclusivamente da prodotti industriali senza alcun valore nutrizionale, cosa che andrebbe assolutamente evitata.

Se non riesci a rinunciare al pane, esistono dei sostituti a base di farine alternative a quella di frumento (vedi il nostro articolo su il pane).

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Tè o caffè: quale fa meglio alla salute? https://yuka.io/it/te-caffe/ https://yuka.io/it/te-caffe/#comments Tue, 19 Jul 2022 05:14:54 +0000 https://yuka.io/?p=37533 Gli italiani, si sa, non possono fare a meno del caffè. Ma cosa dire del tè? Anche in Italia gli amanti del tè sono sempre di più. Ma queste due bevande hanno gli stessi benefici? Il nutrizionista Anthony Berthou ci aiuta a scoprirlo. Perché fa bene? Il tè è particolarmente ricco di epicatechine, dei potenti […]

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Gli italiani, si sa, non possono fare a meno del caffè. Ma cosa dire del tè? Anche in Italia gli amanti del tè sono sempre di più. Ma queste due bevande hanno gli stessi benefici? Il nutrizionista Anthony Berthou ci aiuta a scoprirlo.

Perché fa bene?

Il tè è particolarmente ricco di epicatechine, dei potenti antiossidanti della famiglia dei flavonoidi che aiutano a prevenire numerose malattie (vedi il nostro articolo sugli antiossidanti). Tra i vari tipi di tè, il tè verde è il più interessante perché contiene l’epigallocatechina gallato (EGCG). Si tratta di un importante antiossidante in grado di proteggere l’organismo dai radicali liberi, e che non si ritrova in nessun altro vegetale in quantità così elevate. Anche gli altri tipi di tè restano comunque molto interessanti per la salute.

Grazie alla presenza di flavonoidi, il tè aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari. Queste molecole migliorano infatti la circolazione sanguigna e l’elasticità delle arterie. L’insorgenza di malattie cardiovascolari si riduce del 36% consumando almeno 3 tazze di tè verde al giorno e del 13% con il tè nero. Da uno studio condotto dall’Università di Harvard risulta inoltre che i flavonoidi rallentano il declino delle performance intellettuali dovuto all’invecchiamento.

I flavonoidi contrastano anche l’ossidazione del colesterolo LDL, un processo più dannoso del semplice aumento dei suoi livelli nel sangue, in quanto contribuisce alla formazione delle placche arteriose.

N.B.: il rooibos è un infuso che non contiene teina. Apporta antiossidanti, ma in quantità nettamente inferiori rispetto al tè.

Teina e caffeina sono la stessa molecola!

Diversamente da quanto si pensa, teina e caffeina corrispondono alla stessa molecola. Non c’è quindi alcuna differenza tra i due termini, se non origini diverse.

Ciò significa che il tè, così come il caffè, contiene caffeina e contribuisce a stimolare il cervello: favorisce l’attenzione e la vigilanza, riduce la stanchezza e migliora la memoria (vedi sotto).

L’apporto di caffeina di una tazza di tè è in media dalle 3 alle 4 volte inferiore rispetto a quello di una tazza di caffè. Tuttavia, questo apporto può variare a seconda dell’origine del tè o del caffè e delle modalità di infusione.

Dato che i tannini presenti nel tè rallentano l’assimilazione della caffeina dall’organismo, il tè è assimilato meglio e stimola il cervello senza indurre eccitazione. Il caffè invece, agendo molto rapidamente nell’organismo, può avere un effetto eccitante in alcuni soggetti.

Meglio evitare il tè in caso di carenza di ferro?

I tannini presenti nel tè riducono l’assimilazione del ferro. Consumato durante un pasto, il tè può ridurre del 60-70% l’assorbimento del ferro. Questo vale, senza grandi distinzioni, sia per il tè nero che per il tè verde.

I soggetti anemici dovrebbero quindi evitare di bere tè durante il pasto per evitare che gli alimenti ricchi di ferro e il tè si ritrovino nello stesso bolo alimentare. Il tè si potrà consumare nuovamente 2/3 ore dopo il pasto.

Consigli utili

Ecco alcuni brevi suggerimenti su come scegliere e consumare il tè:

Evita di far bollire l’acqua


L’ideale è infondere il tè a 85° per favorire l’estrazione delle catechine (temperatura raccomandata per motivi nutrizionali e non di gusto).

Scegli del tè biologico


I numerosi fungicidi e pesticidi usati nelle coltivazioni di tè si ritrovano nel prodotto finito. Il tè bio non sfugge a una parziale contaminazione, ma è complessivamente più preservato.

Consuma almeno 2 tazze di tè al giorno


Per iniziare a sentirne gli effetti benefici, consuma almeno due tazze di tè al giorno, idealmente quattro.

Privilegia il tè in foglia


vita le bustine di tè, di qualità inferiore e più soggette alla contaminazione di pesticidi e metalli pesanti (soprattutto fluoro e alluminio).

Non dimenticare di bere acqua


Il tè, se ne bevi molto, può avere un effetto diuretico. Ricordati di bere anche acqua nel corso della giornata.

Lascia infondere il tè per almeno 5 minuti


È il tempo di infusione ideale per liberare un’alta quantità di catechine, anche se può dare al tè un gusto leggermente più amaro.


Perché fa bene?

Così come il tè, il caffè fa bene alla salute, essenzialmente per l’alto contenuto di antiossidanti (in particolare, l’acido clorogenico, la trigonellina e la colina), che contribuiscono a prevenire varie malattie: malattie del fegato, morbo di Parkinson e di Alzheimer e alcuni tipi di cancro (fegato, pancreas). Secondo uno studio americano, il consumo di almeno quattro caffè al giorno diminuirebbe il rischio di recidiva di cancro del colon nei soggetti già colpiti da questo tipo di neoplasia.

Vari studi mostrano che un consumo quotidiano di caffè aiuta inoltre a prevenire il diabete. Migliora infatti la sensibilità all’insulina, un ormone incaricato di regolare i livelli di glucosio nel sangue, ma contribuisce anche a ridurre l’insorgenza di malattie del fegato. Tuttavia, questi risultati riguardano esclusivamente i grandi bevitori di caffè, che ne consumano 3-4 tazze al giorno.

Infine, il caffè è ricco di caffeina, una sostanza naturale che stimola il sistema nervoso e gli consente di aumentare la vigilanza e la concentrazione, ma anche di migliorare le prestazioni fisiche. La caffeina ha infatti una struttura simile all’adenosina, un composto che riduce l’attività nervosa e favorisce il sonno. Si lega quindi ai recettori dell’adenosina, bloccando o rallentando la sua azione. È importante ricordare però che il caffè non può in alcun caso sostituirsi al sonno.

N.B.: il caffè decaffeinato presenta gli stessi benefici del caffè normale, tranne l’effetto stimolante. È fondamentale però scegliere un prodotto che comporti la menzione “decaffeinato senza solventi”. Per estrarre la caffeina, una delle tecniche utilizzate consiste infatti nell’immergere i chicchi caffè in dei solventi, prodotti chimici di cui si possono ritrovare tracce nel prodotto finito. Metodi di decaffeinizzazione più naturali che si basano sull’uso di acqua calda sono assolutamente da preferire.

Da consumare con moderazione

Il consumo di caffè a lungo termine e in quantità moderata (da 2 a 3 tazze al giorno) aiuta a prevenire le patologie cardiovascolari, anche se l’assunzione di caffè può aumentare leggermente la pressione arteriosa nelle ore successive.

Tuttavia, a concentrazioni elevate e nei soggetti che presentano nell’organismo altre molecole che il fegato deve smaltire (vedi sotto), bere troppo caffè può aumentare la pressione arteriosa sul lungo termine e causare indirettamente disturbi cardiovascolari. Questi disturbi sono stati osservati nei soggetti esposti ad altri fattori di rischio: tabagismo, sovrappeso, ipertensione, colesterolo alto, ecc.

La caffeina è uno xenobiotico, ovvero una molecola estranea all’organismo che deve essere eliminata dal fegato. Se nell’organismo si accumula un eccesso di xenobiotici (pillola contraccettiva, alcol, tabacco, pesticidi, farmaci, ecc.), il fegato può avere difficoltà a smaltirli in maniera efficace. Il caffè ha quindi degli effetti benefici su alcune cellule del fegato, ma può causare problemi ad altre cellule.

Il consumo di caffeina stimola inoltre il metabolismo. Nei soggetti colpiti da una stanchezza importante, ciò può causare difficoltà nella gestione dell’equilibrio acido-basico e aggravare questa condizione sul lungo termine.

Secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), la dose ritenuta sicura sono 200 mg di caffeina al giorno, ovvero circa 2 tazze di caffè. Ad eccezione delle donne incinte per le quali è sconsigliato, un consumo di fino a 400 mg (4 tazze al giorno) di caffè non rappresenta un rischio per l’organismo in assenza di altre molecole da smaltire.

Consigli utili

Ecco alcuni brevi suggerimenti su come scegliere e consumare il caffè:

Limita il consumo di caffè a 2 tazze al giorno


Quest’indicazione può variare leggermente a seconda della capacità di ciascuno di smaltire la caffeina accumulata nell’organismo.

Privilegia l’arabica rispetto al robusta


L’arabica è una varietà che cresce in alta quota. Ha una migliore qualità gustativa e contiene meno caffeina del robusta.

Preferisci il caffè proveniente dal commercio equo e solidale


Garantisce ai produttori migliori condizioni lavorative e si impegna nella tutela dell’ambiente.

Scegli del caffè bio o proveniente da piccole aziende sostenibili


Contiene meno pesticidi e prodotti chimici rispetto a quello proveniente da grandi piantagioni.

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